Ritrovare all’interno di un mito universale l’umanità di tutti i giorni, concreta e sentimentale, è gesto artistico che rinnova le fonti dell’immaginazione umana nella loro essenzialità oltre le barriere della storia. È un viaggio a ritroso nel racconto ma insieme è un viaggio all’interno dell’umanità stessa e dei meccanismi di auto-rappresentazione inevitabilmente deformati dal fluire della storia, ovvero della Storia, ma in fondo e nell’essenza così eguali, sempre, a sé stessi. Emma Dante lo fa in questa sua drammaturgia, di cui ovviamente cura anche la regia, riappropriandosi del mito di Odisseo e liberandolo di ogni orpello retorico o classicistico per rintracciare al suo interno i meccanismi essenziali e nucleari delle relazioni umane, quelle tra moglie e marito ovvero tra padre/madre e figli su cui quella narrazione le sembra costruita e a partire dai quali l’intera società si articola nella sua
apparente complessità e soprattutto nella sua dolorosa e talora tragica “confusione”.
E lo fa non soltanto dal punto di vista drammaturgico e narrativo, decapitando Eroe e Divinità di ogni aurea sublime e di ogni aureola metafisica, ma soprattutto, credo, dal punto di vista del linguaggio e della sintassi scenica sovrapponendovi la percezione materica e sensuale della sua Sicilia, la sua Sicilia abbandonata, da un Odisseo sfuggente e incerto, alle sue convulsioni (non mancano mi sembra accenni anche al potere mafioso) e da quello stesso Odisseo ritrovata quasi di malavoglia.
È una sovrapposizione che recupera modi e movimenti dei cantari popolari, in quella lingua meticcia e piena di sonorità che è il siciliano, e delle feste di paese a ricordare santi e santuzze lontani e disattenti, e così ricostruisce quasi e svela i meccanismi di quegli antichi racconti orali e popolari che hanno nel tempo costruito l’Odissea classica, il “Poema”.
Una drammaturgia dunque fondata sul viaggio e sull’assenza, profondamente omerica, e che trasforma il movimento geografico in tensione e oscillazione interiore, trovando nella mescolanza di suono, danza e recitazione la scintilla per occupare il palcoscenico. Una sintassi, peraltro, talora non pienamente coerente e che scivola in qualche passaggio su una sorta di acquiescente abbandonarsi e trascinarsi proprio alla forza concreta e all’erotismo intimamente nascosti nel gesto e nella parola.
D’altra parte un tale raro eccedere può essere il frutto della giovinezza degli attori che lo interpretano. Per i nomi dei protagonisti rimandiamo in calce.
Uno spettacolo comunque ricco e intenso, visto al Teatro Sociale di Camogli in un caldo 4 luglio 2017 e che ha suscitato molto entusiasmo nel pubblico stipato nel bel teatro all’italiana.
Testo e regia Emma Dante, con 23 giovani attori dalla “Scuola dei mestieri dello spettacolo” del Teatro Biondo di Palermo: Manuela Boncaldo, Sara Calvario, Toty Cannova, Silvia Casamassima, Domenico Ciaramitaro, Mariagiulia Colace, Francesco Cusumano, Federica D’Amore, Clara De Rose, Bruno Di Chiara, Silvia Di Giovanna, Giuseppe Di Raffaele, Marta Franceschelli, Salvatore Galati, Alessandro Ienzi, Francesca Laviosa, Nunzia Lo Presti, Alessandra Pace, Vittorio Pissacroia, Lorenzo Randazzo, Simona Sciarabba, Giuditta Vasile, Claudio Zappalà- Elementi scenici e costumi Emma Dante, luci Cristian Zucaro.
Foto Chiara Quartararo