Giorgio Barberio Corsetti ci riporta a Pier Paolo Pasolini con una operazione drammaturgica assai particolare che non ha nulla del ricordo celebrativo e tanto-meno della riscrittura, ma che invece lo vede protagonista di una parte della sua esistenza, nota ma in un certo senso sottovalutata, quasi fosse per lui un ‘divertissement’ che la sua arte riabbigliava e illuminava di luce nuova e non piuttosto una delle sorgenti, e non la minore, della sua ispirazione, uno sguardo aperto oltre la sua stessa scrittura. Quindi, con questa drammaturgia in collaborazione con Roberto Rustioni e Gabriele Dino Albanese, Barberio Corsetti ci riporta a Pasolini portandoci su un campo di calcio di periferia, frequentato da vecchi e nuovi “accattoni” che nella simmetria del gioco, molto più di una astrazione ma una sorta di metafora concreta dell’esserci anche quando (cioè quasi sempre) inconsapevole, o nella
condivisione del tifo sugli spalti, trovano una identità, spesso incerta, altrove negata dalle gerarchie ferree della Società dei consumi allora nascente ma già decadente e corrotta.
Dando così volti nuovi alle medesime sofferenze, con un atteggiamento che è qualcosa di più di una attualizzazione, una squadra di immigrati ed una di operatori di cooperativa (supponiamo diverse per ogni luogo in cui la pièce trascorrerà) si affrontano in un vero campo di calcetto e noi ci disponiamo disciplinati sugli spalti pronti a scattare al fischio dell’arbitro.
Pasolini, si sa, amava il calcio e lo praticava anche con una certa maestria, ma il calcio era anche un modo di entrare nel mondo da una porta diversa rispetto a quella della ‘cultura’ con la C maiuscola e per scoprire realtà esterne ma soprattutto interiori che attraverso quella porta si mostravano più chiare e taglienti e potevano articolare anche nella poesia la sua sofferenza e la sua profonda e tragica alterità intellettuale ed esistenziale.
Perché, come lui stesso ha scritto, “Il gioco del football è un «sistema di segni»; è, cioè, una lingua, sia pure non verbale.”
Così, mentre il pallone passa di gamba in gamba finendo a volte anche per caso in rete (Goooal!!) il mondo poetico e creativo di Pasolini prende vita davanti ai nostro occhi e si amalgama ai nuovi pensieri che la drammaturgia sollecita, mentre Mamma Roma, Accattone, il poliziotto proletario, uccellacci e uccellini e ricotte sono pensieri fulminanti che, a discapito di una Arbitro diavolo in quanto ovviamente cornuto, non interrompono il gioco ma accolgono versi tormentati in cui lo sguardo al divino è precipitato con sofferenza nell’inferno di una Società allora inconsapevole, ma ora disgregata come forse solo il Pasolini dei romanzi e dei film aveva saputo profetare e intercettare.
Il drammaturgo, qui, è come se si facesse di lato e guardasse sé stesso, quel campetto e noi stessi sugli spalti con gli occhi di un giovane Pasolini che scandalizzava parlando di sesso ai calciatori (la famosa intervista ai giocatori del Bologna è sagace arte di smascheramento) o di deformazioni del desiderio a uomini e donne ancora divisi tra Chiesa e Partito.
Ne nasce uno spettacolo lieve nel linguaggio e profondo nel significato, una sorta di allucinazione tra passato e presente (ma anche futuro) che coinvolge per tutti i 90 minuti della partita, tanto che non sappiamo chi ha vinto.
Una drammaturgia che è un progetto di teatro, ben riuscito peraltro, che vede in scena (pardon in campo) aggirarsi tra noi Roberto Rustioni, Gabriele Benedetti, Gabriele Portoghese, Aurora Peres, Silvia D’Amico, Fonte Fantasia, Giuseppe Sangiorgi, Ugo Bentivegna, Silvio Impegnoso, Francesco Russo, nei panni collettivi della visionaria fantasia di Pasolini, mentre ne accompagna il peregrinare la musica di Elisabetta Mazzullo (cahon), Francesca Rapetti (flauto), Gianfranco Tedeschi (contrabbasso) e la banda Murga Invexenda.
Bravi i tecnici Francesca Corso, Lorenzo Patellani, Stefano Cecchi, Davide Bellavia, Fabrizio Camba, Andrea Torazza, e bella la regia di Giorgio Barberio Corsetti. Una produzione FATTORE K con l’organizzazione della Fondazione Luzzati Teatro della Tosse di Genova.
Nel campetto a lato del teatro della Tosse il 5 e 6 Ottobre hanno giocato per noi e con noi: la squadra richiedenti asilo (Uchechukwu Iwuagwu, Daniel Imooye, Aziz Achiraf, Issah Saeed, Saturday Esamudia, Faiz Tamimu Adam, Habib Bittaye, Georges Kouagang, Yaya Touré, Adama Konate, Ochia Chika) e la squadra “italiani” (Pietro Fabbri, Omar Siraj, Carlo La Marca, Matteo Romano, Marco Montoli, Ludovico Bigazzi, Juan Pablo Carbajal) con il supporto e l’organizzazione di Goffredo Baldelli, Loreto Gonzales Canovas, nonché il tifo delle vecchie glorie della fossa granata del Liceo Classico Colombo.
Entusiasmo per tutti dalla platea (di nuovo pardon) dagli spalti.