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Una interessante produzione sovranazionale, che vede coinvolti il Teatro Stabile di Genova con i francesi della Comédie de Caen e della Comédie de Reims e i belgi del Théatre de Liege, apre la stagione a Genova, la prima stagione che vede ‘insieme’ lo Stabile e il Teatro dell’Archivolto. Lo sguardo è sulla nostra Europa e gli occhi sono dell’europeo di oltre oceano Rafael Spregelburd, drammaturgo argentino da tempo trapiantato in Germania, autore controverso ma capace di ribaltare certezze e comode ideologie con una scrittura ove, si potrebbe dire borgesianamente, il sogno diventa il punteruolo estetico per infrangere la realtà (apparente) mostrandone fino in fondo l’attuale inconsistenza, politica,

storica ed anche etica.
Scrittore difficile, dunque, e scrittura complessa la sua che qui si espande quasi sovrapponendosi ad un intero continente di ideologie infrante e di speranze perdute. La fine dell’Europa come porta per aprire il suo destino, la fine come punto di osservazione per rintracciare il passato e, attraverso questo, immaginare un futuro.
La fine o meglio otto fini attuali (o forse solo possibili) che si dipanano negli otto tempi della drammaturgia, di cui ieri 11 ottobre ha esordito la prima parte in quattro quadri: la fine dei confini, la fine dell’arte, la fine della nobiltà e la fine della storia.
Niente di ideologico o di didattico, e da Spregelburd certamente non ce lo saremmo aspettato, ma un grottesco decadere del senso del linguaggio e della realtà che si deformano nella sovrapposizione di identità incerte, prive di ogni appiglio in un mondo rumoroso ma desolatamente vuoto, dalla cantante politica alla restauratrice improbabile in una improbabile “Accademia”, dalla nobile incapace anche di immaginare brioches al posto del pane alla finzione del teatro incapace anche di rappresentare sé stesso.
Eppure non restano solo macerie, ma segnali di un cammino in corso, segnali da decifrare e ricomporre, di cui non ci curiamo ma da cui siamo circondati.
Spregelburd firma anche una regia dinamica e movimentata, quasi consapevolmente confusa, entro una scenografia mutante. In scena gli attori compongono quasi un puzzle linguistico che quasi sconcerta, anche se le dimensioni del lavoro non sembrano proprio coerenti con la scrittura dell’argentino, mostrando talora rapide lacerazioni.
Gli interpreti internazionali, di grande valore, sono coadiuvati da sottotitoli e sono Robin Causse, Julien Cheminade, Sol Espeche, Alexis Lameda-Waksmann, Adrien Melin, Valentine Gerard, Sophie Jaskulski, Emilie Maquest, Aude Ruyter, Deniz Ozdogan.
La regia si giova della collaborazione di Manuela Cherubini e dell’assistenza di Federico Perrone, la drammaturgia e la traduzione sono di Guillermo Pisani, la scenografia e le luci di Yves Bernard.
Molto ben accolto in questo esordio da un pubblico numeroso.