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Ricominciamo da dove avevamo concluso: il teatro TRAM di Napoli. Inizia una ricchissima stagione nella città partenopea e sin dalle prime settimane il ritmo degli spettacoli in scena, dei debutti, delle conferenze stampa è incessante. Iniziamo da dove avevamo concluso, ossia da un teatro che abbiamo, in verità, frequentato poco, ma che ha accolto numerosi artisti in una piccola area sotterranea, nei pressi della famosa piazza Dante e della suggestiva Port’alba, a due passi dal centro storico. Il teatro TRAM (Teatro Ricerca Arte Musica) ci accoglie, dunque, in apertura di stagione e ospita un prodotto drammaturgico firmato da Mirko Di Martino, che è anche il regista di EXPLODING PLASTIC WARHOL, in scena dal 5 al 15 ottobre.  La platea del teatro è sfruttata in tutta la sua lunghezza,

ossia gli spettatori sono invitati ad accomodarsi lungo una pedana che attraversa lo spazio in verticale: gli attori, dunque, recitano percorrendo questa “passerella” che conduce la narrazione dal fondo della platea fino al palcoscenico vero e proprio. Lì si materializzerà un inquietante tribunale che giudicherà le colpe del famoso artista Andy Warhol: è lui il protagonista di questo racconto, o meglio l’oggetto del racconto di altri personaggi presenti in scena. Marylin Monroe, immagine della coscienza identificata con uno dei più importanti e famosi soggetti dell’artista, Edie Sedgwick, Freddy Herko e Valerie Solanas, tre dei protagonisti della Factory, luogo in cui Warhol ospitava personaggi eccentrici, adulatori, artisti, uomini e donne di tutte le età e le estrazioni sociali, disposti a vivere con lui e per lui ad ogni costo. Le sue “Superstar”, come amava chiamare coloro che “bazzicavano” in questo luogo, erano protagoniste dei suoi filmati e Warhol affermava di non amare il montaggio, ma preferiva che la telecamera catturasse liberamente tutte le azioni che i personaggi,  posti davanti ad essa, potevano liberamente svolgere. Psicologicamente fragile, l’artista costruì su di  sé un personaggio irreale e allo stesso tempo economicamente potente. Anche i tre protagonisti inseriti all’interno dello spettacolo, realmente esistiti e purtroppo morti precocemente, diventano per breve tempo figure presenti nella vita mondana di Andy. L’illusione del successo eterno sembra invischiare questi giovani rivoluzionari, attivisti o artisti, all’interno di una morsa serrata che è il marchio “Andy Warhol”. Il futuro ricco di successo sembra essere l’esca per attirare i giovani che vivono nella Factory, che aspettano quotidianamente di poter incontrare l’artista, che emergono prepotentemente durante la campagna pubblicitaria dei suoi filmati, per poi decadere nell’ombra e nell’oblio. La ricostruzione storico-biografica che Di Martino riporta sul palcoscenico, ricordando anche i trent’anni dalla morte di Warhol, descrive un’altra faccia della medaglia, ossia un personaggio scomodo, fragile, psicologicamente ossessionato dal ruolo assunto, fagocitatore della vita e della visibilità altrui, pronto a dimostrare il proprio interesse verso qualcuno e a dimenticarlo dopo poco tempo. I tre personaggi citati hanno incontrato Warhol, casualmente o volontariamente, e hanno vissuto l’esperienza della Factory, hanno combattuto per far emergere il proprio pensiero e le proprie attitudini artistiche. Giovani che vivevano in una condizione di profonda solitudine e che consideravano Warhol come un punto di riferimento, un maestro-guida che poteva condurli verso la felicità. Questo spettacolo ha il merito di far decadere il “mito”, di sviscerare le paure e il dolore di una generazione, quella degli anni ’60, che proponeva incessantemente il cambiamento, che viveva al massimo questa trasformazione, ma che dimostrava, poi, la mancanza di esperienza davanti a trasformazioni così forti. Il merito della drammaturgia di Di Martino è proprio l’eccessiva caratterizzazione didascalica del racconto che descrive la vita di Warhol attraverso le parole dei personaggi scelti per l’accusa. L'intensità del racconto della vita di ognuno di loro tende a crescere prepotentemente e ad esplodere in un’accusa violenta e disperata nei confronti dello sfruttamento psicologico operato dall’artista. Il testo, dunque, così come lo spettacolo, è adatto ad un pubblico eterogeneo ed è costruito per lo più sulle notizie biografiche dei personaggi, sebbene in alcuni momenti si inseriscano alcuni dialoghi tra Andy e la coscienza/Marylin. Se da un lato questa struttura testuale facilita la comprensione degli eventi, dall'altro sembra mancare di intensità, in alcuni momenti, di intensita drammaturgica.  Interpretato dal bravo Orazio Cerino, il protagonista appare silenzioso, apatico, ironico, ancora una volta attende gli eventi, aspetta che il mondo, e la fine, gli si materializzino davanti. Una sorta di testamento che costringe Warhol a confrontarsi con tutta la sua vita e con tutte le persone che hanno deciso di non vivere più. La figura dell’artista sembra incarnare la delusione di un’intera generazione che ha tenuto fede alle forme di rivoluzione sociale e culturale, promulgate negli anni ’60. A distanza di decenni, osserviamo gli esiti di una filosofia di vita e di un credo che hanno cambiato il mondo, ma che, nello stesso tempo, ha mietuto le sue vittime. Lo star system combattuto e rifiutato, appare invece il punto di approdo di giovani vite votate alla visibilità a tutti i costi.
Gli attori ricoprono i ruoli travestendosi esattamente come i veri protagonisti apparivano nelle foto e nei video del tempo: l’assidua adesione al vero storico permette al pubblico di imparare moltissimo e di apprendere nozioni sconosciute sulla vita di Andy Warhol. Tra la narrazione e l’interpretazione del dolore, emergono momenti di eccessivo patetismo che sembrano caratterizzare il racconto di ogni personaggio attraverso una struttura fissa: entusiasmo, veloce racconto di vita, punto di arrivo, decadenza, dolore, morte. Modello che si ripete per tre volte e che sembra scandire la narrazione drammaturgica attraverso blocchi.
In sena, insieme al citato Cerino, anche Titti Nuzzolese, Angela Bertamino, Antonella Liguoro, Dario Tucci, quest’ultimo delicato e doloroso nelle vesti del ballerino che si suicida lanciandosi nel vuoto.
Lo stesso titolo ricorda lo spettacolo teatrale firmato da Warhol e messo in scena nel 1966 a Los Angeles, che di esplosivo aveva appunto il rock psichedelico e la circolazione di droga. L'esplosione del plastico, artefatto Andy Warhol avviene: colpito da un proiettile sparato dalla stessa Valerie Solinas, si frantuma e comincia a decadere. Il castello fatato non è solido come si pensava.

EXPLODING PLASTIC WARHOL
TEATRO TRAM NAPOLI
5-15 OTTOBRE 2017
drammaturgia e regia Mirko Di Martino
con Orazio Cerino, Titti Nuzzolese, Angela Bertamino, Antonella Liguoro, Dario Tucci
produzione Teatro dell'Osso
in collaborazione con Vissi d'Arte Festival