Quella parte incoercibile ed irriducibile della coscienza umana, che tormentò Dostoevskij e che i suoi testi ci hanno lasciato evidente ed insieme irrisolta al di là delle contingenze della storia e della contemporaneità, è in scena al Teatro della Tosse, dal 9 all'11 febbraio, con questa drammaturgia e regia della giovane Carmen Giordano
un tradimento come lo definisce la stessa drammaturga, nel senso, credo, più positivo del termine. Tra le scene e i costumi di Maria Paola Di Francesco, sospesi tra modernità tecnologiche e nostalgie infantili, e la scenografia sonora di Maura Pettorusso, efficace nel sottolineare ogni stacco nei movimenti recitativi, si muove con abilità un ottimo Enrico Campanati, in una prova solitaria di grande passione ed efficacia che contribuisce non poco al dispiegarsi del senso complessivo della dinamica drammaturgica. È l'Idiota dostoevskiano, così apparentemente estraneo alla società umana eppure così incoercibilmente ad essa intrinseco, anzi interno alla sua sensibilità e al suo percorso anche culturale. L'aristocratico incapace di mediare tra la parola ed il suo significato e senso collettivo o relazionale e che per questo trasforma quasi ineluttabilmente la sua presunta bontà in strumento di dolore per chi ne è raggiunto, proprio per l'incapacità di articolare ed elaborare rispetto agli altri la sincerità del suo sentire, che rende la sua ingenuità simile a cinismo freddo, con quella 'cattiveria' spigolosa e definitiva che talora è appunto dei bambini. Un uomo solo dunque, quale effettivamente il movimento drammaturgico rappresenta, ma non un reietto, anzi un uomo che diventa il motore ultimo degli eventi che lo circondano, motore immobile ed insieme da questi mai intaccato. Per questo credo, la tonalità quasi metafisica e beckettiana del personaggio in scena non ne da una ragione piena, ed appare un tentativo serio, ma affrettato e forse ancora immaturo, di risolvere un dilemma dell'esistenza allontanandolo per definirlo in tratti più riconoscibili e più immediatamente declinabili per la nostra contemporaneità. Da qui forse alcuni eccessi di modernistica banalizzazione nella scrittura, che appaiono non corenti con l'impianto complessivo della drammaturgia, rischiando talora qualche squilibrio anche di rappresentazione. È comunque notevole lo sforzo analitico intorno al personaggio e la capacità di sintetizzarne con efficacia tratti e caratteristiche sia psicologiche che esistenziali, in un quadro complessivo in cui l'ottima prova recitativa di Campanati conferisce, come detto, organicità e coerenza. Una platea ancora più giovane del consueto ha apprezzato e ricambiato lo spettacolo, del tutto apprezzabile, con un lungo applauso.