Altri quattro quadri per completare questa spiazzante drammaturgia di Rafael Spregelburd, la cui prima parte è stata recentemente recensita in questi spazi. Uno sguardo, scrivemmo allora, gettato su una Europa che va perdendosi, un tempo punto di riferimento ed ora quasi grottesca controfigura di se stessa, opaca tributaria di pensieri e ideologie altrui, quasi in preda ad una sindrome di assedio come la Vienna del sedicesimo e diciassettesimo secolo. Tra la fine della Sanità, fiore all’occhiello diventato ‘merce’, e la fine della famiglia, atomo una volta imprescindibile della struttura sociale e ora, come quella, in continua ‘fissione’, la fine della realtà mascherata in quella fine delle ideologie che è stata una ferita mortale nel corpo della coesione collettiva, il dramma si affaccia infine alla fine
ultima: quella dell’Europa medesima, idea in chiusura per mancanza di audience.
E qui la scrittura grottesca e onirica del drammaturgo inventa un inaspettato e fragoroso ribaltamento, invocando in sorta di deus ex machina un divino preoccupato di perdere quel dialogo con l’umanità che ne costituisce il senso profondo.
L’apparenza della fine, o meglio delle fini come preferisce l’autore, diventa così occasione per tentare di riportare il nostro mondo dall’empireo del sogno, ovvero dell’incubo che ci ha accompagnato in questo percorso interiore, alla pienezza di un significato che questa intricata metafora insieme disperata e piena di speranza ci invita a ‘riacciuffare’.
Uno spettacolo compatto e ricco di tangenti psicologiche e significative che impasta una scrittura dalle sintassi grottesche e perturbanti con un passaggio scenico dalle cadenze vagamente brechtiane per il distacco e la capacità di prospettiva che la regia dello stesso Spregelburd enfatizza con efficacia.
Meritano di essere riproposti i protagonisti internazionali: Robin Causse, Julien Cheminade, Sol Espeche, Alexis Lameda-Waksmann, Adrien Melin, Valentine Gerard, Sophie Jaskulski, Emilie Maquest, Aude Ruyter, Deniz Ozdogan, e con loro collaboratrice e assistente alla regia: Manuela Cherubini e Federico Perrone. La drammaturgia e la traduzione sono di Guillermo Pisani, la scenografia e le luci di Yves Bernard.
Un produzione internazionale di grande respiro tra lo Stabile di Genova e i francesi della Comédie de Caen e della Comédie de Reims e i belgi del Théatre de Liege, che ha aperto la stagione genovese. Al teatro Duse dal 11 al 20 Ottobre.