Due mostri sacri del teatro come Vittorio Gassman e Carmelo Bene, direttamente da un aldilà luminoso e moderno, ritornano magicamente in scena per riproporre, tra gigionerie, riflessioni, sfide, alcool e fumo, un classico come il “Don Chisciotte” capolavoro di Miguel Cervantes. Tutto ciò avviene sul palcoscenico del teatro Ambasciatori di Catania
con la messinscena, di Franco Banciaroli, “Don Chisciotte, per il Teatro de Gli Incamminati e nella stagione di prosa dello Stabile di Catania, su progetto e regia dello stesso Branciaroli. In un solo atto, di circa 1 ora e 15’ e sulla scenografia intrigante di Margherita Palli (un ambiente freddo, asettico, una sorta di Purgatorio e con una porta che dà nell’inferno, con un fornito tavolo bar), il solo protagonista, il convincente, istrionico, Franco Branciaroli, si sdoppia facendo intraprendere ai due grandi del teatro, Gassman e Bene, entrambi trapassati, un viaggio nel mondo di Don Chisciotte e di Sancho Panza, i due buffi personaggi del capolavoro di Cervantes: il primo con i suoi toni profondi che caratterizzano, segnano, ogni testo, il secondo con voce nasale, quasi un falsetto. Nello spettacolo Branciaroli, attraverso le voci di Gassman e Bene, tra una sigaretta ed un bicchiere, propone alcune parti del “Don Chisciotte”, romanzo epico ed i cui singoli episodi possono essere raggruppati senza seguirne necessariamente il concatenamento. C’è spazio anche per una incursione nella “Divina Commedia”, con Gassman e Bene che si sfidano nella lettura del V canto dell’Inferno, quello di Paolo e Francesca giudicati addirittura, dall’autore, Dante, che, direttamente dagli inferi, alla fine, preferisce un terzo grande del teatro, l’assente Giorgio Albertazzi. Branciaroli, in scena, muovendosi o sedendosi su una poltrona o accanto ad un tavolo con tante bottiglie di liquori, costruisce uno spettacolo elegante, di sicuro effetto, facendo il verso ai due grandi ed eterni Gassman e Bene, celebrando così la loro grandezza e quella, in generale, del teatro, in tutte le sue forme. Un gioco, un esperimento sull’imitazione e sulla restituzione, in quanto Branciaroli imita per ridare ciò che ha preso in prestito come attore. Alla fine, tra qualche perplessità del pubblico, ma anche tra tanta ammirazione, lo spettacolo ed il suo assoluto protagonista riscuotono gli applausi, per un pièce di puro istrionismo vocale, infarcita di grande senso dell’umorismo, oltre che di eleganza e di affabulazione. Un plauso alla regia dello stesso Branciaroli, all’accattivante impianto scenografico di Margherita Palli, ai costumi di Caterina Lucchiari, alle musiche di Daniele D'Angelo ed alle luci evocative di Gigi Saccomandi. Si tratta di un lavoro concettuale, che si interroga sul senso del teatro e della letteratura, in un continua evoluzione e trasformazione. Per Branciaroli è un modo per dimostrare il suo amore per il teatro classico rivisitato attraverso il trasformismo e il gioco vocale, mentre per lo spettatore è l’occasione per risentire, con nostalgia e commozione, le voci di due grandi del teatro e rimpiangerli.
foto Gianmario Bandera