Emanuele Conte e Michela Lucenti continuano la loro intensa collaborazione, frutto evidente di una assonanza di sentire estetico che produce in scena un amalgama convincente tra diversi linguaggi espressivi, nel solco della più avanzata ricerca teatrale. Questa drammaturgia, liberamente ispirata all’omonimo romanzo di Michail Bulgakov, ne è ulteriore passaggio, un passaggio costruito appunto su sintonie profonde che riescono, paradossalmente, a trasformare le parole in gesti ed i movimenti coreutici in narrazione, mentre si sovrappongono nel transito scenico. È inoltre uno spettacolo con più piani espressivi e significanti, resi con efficacia dalla sovrapposizione e dal rimescolamento di quei diversi linguaggi, che con profondità colgono la pluralità dei mondi che il romanzo di Bulgakov e, prima di quello, il Faust di Goethe da cui a sua volta è evidentemente suggerito, attraversano e ci fanno attraversare, fuori ma soprattutto dentro di noi. È come se l’umanità dell’uomo, il suo esserci e il suo essere nella Storia quasi inconsapevole, potessero essere descritti solo nel confliggere di prospettive diverse e dissonanti, potessero cioè essere percepiti solo attraversando la prospettiva del
rapporto tra Dio e Satana, tra bene e male.
Discorso, dunque, più che metafora sull’uomo e sul suo Dio, dispiegato attraverso gesti e parole di un Mefistofele guitto (il mondo in fondo diceva Shakespeare non è che un palcoscenico), capace di mettere sotto sopra, ieri come allora, una società mediocre e perennemente incerta di sé stessa, mentre sullo sfondo Gesù e Pilato, entrambi dimenticati, si specchiano l’uno nell’altro.
Ma, anche per questo, discorso sul “potere” e sulla “sopraffazione”, quelle che si articolano a partire dalla relazione uomo-donna e poi reciprocamente si strutturano nel contesto sociale e nella storia talora con una pervasività tale da coartare ogni identità (Bulgakov, lo ricordiamo, scriveva il suo romanzo in pieno stalinismo).
Ma al di là della storia e della società, il continuo riferimento a Goethe e al suo Faust ci apre all’essenza stessa dell’umanità e della sua metafisica, cogliendo il sentiero stretto del suo muoversi tra istanze e debolezze, spinti da quel che di irriducibile, anche per quel Mefistofele guitto e in fondo perdente di fronte a Margherita, vi è nell’essere umano.
“Come Homunculus (scrive Piero Citati richiamando Goethe) ognuno di noi deve cominciare dal principio e poi salire uno dopo l’altro tutti i gradini della scala della creazione: tendere verso gli ordini più alti, diventando finalmente un uomo capace di filosofare e di modellare nel bronzo le statue delle divinità celesti.”
Il testo è frutto della collaborazione preziosa come sempre di Elisa D’Andrea, ed Emanuele Conte che cura con Michela Lucenti una regia movimentata e commossa, capace di ampliare la sua stessa dimensione spaziale e percorrere vie interiori, che si sovrappongono le une alle altre sfruttando anche lo schermo trasparente che chiude la scena.
Le coreografie, molto fisiche ma sempre ampie nel gesto che contrasta la gravità, sono ovviamente di Michela Lucenti, che svela qualità vocali potenti e dalle inattese sfumature. In scena gli attori/danzatori/cantanti Andreapietro Anselmi, Fabio Bergaglio, Maurizio Camilli, Pietro Fabbri, Michela Lucenti, Marianna Moccia, Alessandro Pallecchi, Stefano Pettenella, Gianluca Pezzino, Paolo Rosini, Emanuela Serra, Natalia Vallebona, da accomunare tutti per la bella prestazione.
Emanuele Conte ha curato anche l’eccellente scenografia integrata dalle animazioni video di Paolo Bonfiglio. I costumi sono di Chiara Defant, le luci di Andrea Torazza e le musiche, molto interessanti, di Tiziano Scali e FiloQ.
Una produzione Fondazione Luzzati Teatro della Tosse e di Balletto Civile, alla sala Trionfo del genovese Teatro della Tosse dal 2 all’11 febbraio. Molto applaudita.
Foto Donato Aquaro