Anche con questa sua ultima espressione, la scrittura di Fausto Paravidino si dimostra capace di una profonda sintonia con quella sorta di rumore di fondo, confuso e talora angoscioso, che produce questa nostra società contraddittoria e liquida, ed è capace, come di consueto, di trarne alimento per un affresco, generazionale ma non solo, che tenta d coglierne il senso, o almeno un senso.
La storia di una famiglia, che copre oltre cinquant’anni della storia d’Italia, diventa così l’occasione o meglio il contenitore per potere leggere, come attraverso una lente di ingrandimento, la storia di una soggettività complessa, quella appunto di Emma che in quella famiglia nasce, una soggettività che si muta man mano in paradigma anche storico, anche sociale, anche metafisico se vogliamo, ma soprattutto psicologico ed estetico di una intera generazione, la cosiddetta generazione X, che tra l’altro è anche quella dell’autore. È in effetti nella storia di tre donne, Emma, sua madre e una vicina che racconta a sua volta di sua madre, che si sciolgono e si distillano le tentazioni di autobiografismo per allargare lo sguardo alle relazioni, e ai loro mutamenti, che vanno a comporre come un puzzle la
personalità dei protagonisti, in ripetuta mutazione.
Sembrano peraltro relazioni sempre sotto il segno della sottrazione, del nascondimento a se stessi e all’altro, fino alla scomparsa di Emma che tutte le sottrazioni sembra riassumere.
Paravidino usa con efficacia varie sintassi della commedia, dall’ironia al grottesco e al sapiente uso della maschera, quasi a segnalare sempre un distacco ed una alienazione spiazzante che precipita con forza nella rappresentazione aprendola a nuovi significati.
Peraltro fa specie che ancora una volta l’interiorità delle donne sia posta sotto lo sguardo di un drammaturgo uomo e, in effetti, se la prima parte del lungo spettacolo, quella che coglie le premesse della storia, appare più compatta e convincente, la seconda, in cui le tre donne diventano centrali, mostra qualche dissonanza e incoerenza.
È un lavoro comunque interessante, che conferma le qualità di drammaturgo di Fausto Paravidino, ormai stabilmente affacciato sulla scena europea, e appena nominato Dramaturg del Teatro Stabile di Torino. Con esse anche quelle della sua recitazione, secca e spesso graffiante, e della regia che qui sa cogliere i giusti movimenti.
In scena con Fausto Paravidino, Iris Fusetti, Eva Cambiale, Jacopo Maria Bicocchi e Angelica Leo sono i personaggi principali. Insieme e attorno a loro Gianluca Bazzoli, Giuliano Comin, Giacomo Dossi, Marianna Folli, Veronika Lochmann, Emilia Piz, Sara Rosa Losilla, Maria Giulia Scarcella, per un cast di qualità.
Le scene di Laura Benzi, i costumi di Sandra Cardini e le musiche originali (eseguite dall’Orchestra Notturna Clandestina) di Enrico Melozzi, le maschere di Stefano Ciammitti e le luci di Lorenzo Carlucci completano la buona messa in scena.
Una produzione Teatro Stabile di Bolzano, ospite dello Stabile di Genova, al teatro Duse dal 6 all’11 febbraio. Folto il pubblico che ha a lungo applaudito.