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Francesco Frongia regista teatrale e anima dell’Elfo Puccini di Milano, dà un nuovo impulso alla rassegna Nuove Storie, un piccolo festival, con un tema comune: la famiglia in tutte le sue sfaccettature e problematiche, nei i conflitti e nelle contraddizioni che la animano. Parafrasando Tolstoj si potrebbe anche dire che «Ogni famiglia ha un segreto, e il segreto è che non è come le altre famiglie» (Alan Bennet) La famiglia come gioie e dolori. Un’occasione importante per le compagnie emergenti, a cui si offre la possibilità di confrontarsi con un pubblico più ampio. In meno di un mese avremo la possibilità di vedere sette compagnie proveniente da diverse parti d’Italia, una selezione di talenti, al centro i percorsi drammaturgici degli autori contemporanei e storie molto attuali.  Si parte con Malagrazia. la nuova produzione di Phoebe Zeitgesit, gruppo teatrale milanese nato nel 2005, si caratterizza per i suoi spettacoli potenti, viscerali ma anche per una modalità di lavoro di ricerca teatrale basata su suoni, gestualità, effetti scenici. Straniamento e narrazioni crude, per rappresentare aspetti del quotidiano che vengono esaltati in modo inconsueto, strano, ottenendo una percezione diversa

della realtà stessa. Una ricerca che affonda le radici nel teatro della crudeltà di Artaud, esasperazione della gestualità e della voce, con effetti fortemente dissacranti, una violenta carica liberatoria per l’attore, che lavora sul proprio corpo per portare in superficie e liberare energie primordiali. Questo il percorso della compagnia che, in questa ultima messa in scena, si affida alla drammaturgia di Michelangelo Zeno, di volta, in volta, collaborazioni sono diverse. Non c’è una storia particolare, non c’è un filo logico, ci sono delle impressioni, delle frasi spezzettate affidate a due personaggi. Due orfani, imprigionati in un non luogo o forse un luogo fiabesco, ricordano i due fratelli della citta di K. Ágota Kristóf. Ideazione e regia di Giuseppe Isgrò uno dei fondatori della compagnia. Il suo lavoro è preciso e fortemente simbolico. I due ragazzi Vivono di “malagrazia”, alla ricerca disperata di una grazia che possa elevarli verso il sacro, verso un’eternità. Vivono di sogni e paure, imprigionati fra il desiderio di diventare grandi e la solitudine del volo, inventeranno mondi passati e presenti, fino alla ricerca ultima delle loro origini. La regia di Giuseppe Isgrò sospende i due personaggi in un universo indefinito, fatto di suoni gutturali, naturali, disturbi, rumori di un mondo contemporaneo, privo di poesia L’architettura del suono di Stefano De Ponti sostiene lo sguardo destrutturato e scomposto della regia in modo prezioso. Il padre è morto,  c’è una certa nostalgia per questa perdita ed ecco che a tratti emergono alcuni versi di Franco Scaldati grande padre del teatro, drammaturgo siciliano, la parola scenica, affidata alla grazia di Michelangelo Zeno cerca di ricalcare alcuni percorsi del poeta siciliano, evoca i passaggi musicali, il suo mondo sofferente e crepuscolare, lirico e carnale, tuttavia, non sempre riesce a sostenere l’impianto forte e provocatorio della costruzione scenica di Isgrò. La drammaturgia, risulta schiacciata, più debole rispetto alla visione della regia, come sempre ben congeniata e architettata. Una simile scena richiederebbe maggiore forza, una potenza linguistica rivoluzionaria, una lingua dissodata che sappia reggere i mezzi espressivi della regia, come quella di Jan Fabre, per fare un esempio, erede contemporaneo di Artaud. Ma che cos’è la malagrazia oggi? Nel sito della compagnia due citazioni che accompagnano la riflessione, la prima di Pierre Klossowski: “La grazia per voi, e ne avete dato prove sanguinose, può consistere soltanto nella pratica comune dell'iniquità individuale”. La seconda di Basilio Reale: “Isola, isole: un convoglio di topi all’orizzonte nell’occhio della notte”. La malagrazia è solitudine e individualismo due mali contemporanei. Le due citazioni, riportate nel sito della compagnia, permettono di comprendere a fondo il lavoro di Isgrò riflesso nella gestualità degli attori in scena. I due interpreti, Edoardo Barbone, Daniele Fedeli affrontano il lavoro con notevole energia, abili nel varcare tutte le sfere del rancore e delle amarezze. Sono corpi scenici che alla maniera di Fabre scrivono lo spazio dando vita all’interiorità, un salto ben riuscito nell’ignoto.

Milano, Teatro Elfo Puccini, Nuove Storie, 27 aprile- 20 maggio, 2018