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Vive di assonanze e suggestioni questo appuntamento di metà agosto che da nove anni occupa con la forza del teatro l'ubertosa piana di Albenga, famosa anche per i suoi carnosi carciofi, “Articiocca” in lingua locale, appunto per questo simbolo visivo e sonoro dell'ar-ti-sciòc (Artischocke) di cui si fa sin dalla nascita portatore. Perché “terreni creativi”, altra suggestiva assonanza, produce ogni anno una feconda distrazione, distrae dai numeri di una economia della mente per portarci nel profondo di una coscienza che chiede voce anche se, come in questi tempi “aridi”, gliene viene concessa purtroppo sempre meno e quasi controvoglia. Così infatti ad arare i solchi della mente si produce sempre profitto, tangibile e concreto, parrebbe un paradosso ma non lo è, come quello dei banchi del mercato e delle spedizioni all'altro capo del mondo. Quest'anno il festival, sviluppatosi tra l'11 e il 13 agosto in tre giornate molto intense e interessanti, è apparso anche più

compatto nelle scelte del suo direttore e fondatore Maurizio Sguotti, quasi che un filo rosso attraversasse tutti gli spettacoli, anzi un doppio filo rosso, naturalmente intrecciato, quello della biografia e dunque della soggettività/identità e quello del sacro che in quelle radici intime, oltre la o le religioni, oltre la stessa antropologia e quasi in una dimensione estetica, dovrebbe ritrovare una legittimazione sempre più appannata se non addirittura negata.
Infatti in un mondo che evapora, nei suoi valori e nei suoi riferimenti, in cui le ideologie sono ormai caricature di sé stesse, la piegatura verso il  personale ed il biografico tradisce ormai una quasi disperata ricerca di verità e di sincerità, di cui il sacro appare, anche al non credente, un fondamento quasi inevitabile ma forse perduto per sempre.
Una piegatura che è pur sempre e necessariamente una trasfigurazione o deformazione estetica, perché, come scriveva Walter Benjamin, “una vita umana non può essere considerata secondo l'analogia di un'opera d'arte”-
Un gioco di rimandi dunque, magari non costruito o artificioso, ma all'apparenza spontaneo, trovato pertanto più che cercato, in una serie di presenze, più o meno conosciute ma tutte di ottimo livello artistico e drammaturgico, presenze che andiamo a conoscere singolarmente.

ROBERTA CADE IN TRAPPOLA / Cuocolo-Bosetti-IRAA THEATRE
Viaggio all'interno dello spazio ristretto e claustrofobico di una mente prigioniera della depressione, all'interno di una vita che scivola in un cunicolo oscuro in cui niente rimane e tutto si disperde e si allontana. È la tredicesima tappa del percorso drammaturgico di Roberta Bosetti e Renato Cuocolo che parte dall'autobiografia per cercare di approdare ad una comune e intima biografia dell'anima umana, della nostra anima. Un teatro di esistenze che si respingono per la forza del loro stesso desiderio, costruito attraverso le tracce che, come su uno schermo radar, i transiti lasciano sulla nostra individualità. È quella di Bosetti e Cuocolo una ricerca drammaturgica che da molti anni si sviluppa tra la catarsi aristotelica, che il guardare in sé e il parlare di sé produce, e le suggestioni dell'esistenzialismo sartriano dell'inferno che è negli altri. Molto suggestiva la costruzione scenografica e la regia di Cuocolo al cui interno Roberta Bosetti è brava a traslare la narrazione oltre i confini di una esperienza solo soggettiva. Coproduzione Il Funaro Pistoia, IRAA Theatre, Teatro di Dioniso.

PARADISO / Babilonia Teatri
Accanto alla nostra vita, alla nostra biografia, scorrono altre vite e altre biografie sconosciute, anzi che a volte proprio non vogliamo conoscere. Questa drammaturgia provoca uno scontro di vite, lo scontro tra le aspettative di tre minorenni stranieri, ospiti di un centro di accoglienza, e quello che la Società (o noi?) è disposta a tollerare. In un momento assai complesso della nostra identità sociale vuole essere un shock, giocando sulle sintassi della provocazione teatrale miscelata con l'ingenuità e la purezza dell'infanzia come paradiso mai conosciuto. In scena i tre ragazzi appaiono a proprio agio e il pubblico ne può condividere le angosce. Tutto senza mai parlare di migrazione e accoglienza, ma cercando di essere oltre la sola sociologia. Con Enrico Castellani, Daniele Balocchi, Amer Ben Henia, Joyce Dogbe, Josephine Edu. Musiche Marco Sciammarella, Claudio Damiano, Carlo Pensa (Allegro Moderato). Direzione di scena Luca Scotton, collaborazione artistica Stefano Masotti. Produzione Babilonia Teatri e La Piccionaia Centro di produzione Teatrale, coproduzione Mittelfest. Un progetto di Babilonia Teatri e ZeroFavole.

FARSI SILENZIO / Marco Cacciola
Ancora la metafora del viaggio come ricerca del sacro di una coscienza inquieta, in questa bella drammaturgia di Tindaro Granata. Un viaggio reale però, quasi che quello dentro la propria mente o la propria arte non fosse più sufficiente, quasi che la nostra contemporaneità, chiusa nella rumorosa virtualità di una affollata solitudine, non fosse più in grado di fornirci strumenti, gli strumenti del sacro. Ecco allora, per Cacciola, la necessità di camminare e ritrovare le domande giuste, prima ancora delle risposte giuste, ecco la necessità del silenzio sperando che sia almeno una eco del sacro che alimenta ancora le nostre esistenze. Fa molte domande in scena il protagonista, che sfugge quasi per proteggersi dalle nostre risposte, rinchiudendo la sua voce negli altoparlanti delle cuffie di cui siamo dotati. Progetto e interpretazione Marco Cacciola, drammaturgia Tindaro Granata, suono Marco Mantovani. Produzione Elsinor Centro di produzione Teatrale con il sostegno di Armunia Centro di residenza artistica Castoglioncello – Festival Inequilibrio.

VANGELO / Pippo Delbono
Stavolta il richiamo al sacro è esplicito e proprio da un ateo sempre dichiarato come Pippo Delbono che paradossalmente però del sacro, quello nascosto nell'ultimo e nel sofferente, quello nascosto nella sua stessa anima quando incontra la sofferenza e la morte, ha fatto la cifra di una produzione drammaturgica affascinante e inquieta. Qui ha presentato il suo film che ha accompagnato la sua ultima convalescenza e l'omonima drammaturgia che ha attraversato le scene Europee. Il film, rispetto alla drammaturgia, è una suggestione che suggerisce una sorta di immersione concreta, quasi fisica e corporea, nei vangeli rintracciati nelle storie di richiedenti asilo in un centro dell'astigiano. Dio, parrebbe suggerire Delbono, appare dunque presente proprio quando si nasconde. A ciascuno di noi rispondere. Raffinato nella sintassi apparentemente amatoriale, ricorda Pasolini nella ossessiva ricerca dei primi piani, quasi questi dovessero aprire la strada delle anime. Una creatura che Pippo Delbono è apparso coccolare con affetto. Il film è stato presentato alla Mostra di Venezia, nel Festival di Cinema d’Arte al Museo del Louvre di Parigi, e in vari festival internazionali in giro per il mondo, è stato trasmesso dalla Tv Arte in Francia e Germania e sarà presente alla retrospettiva che il Centre Pompidou di Parigi dedicherà a Pippo Delbono in ottobre insieme a tutti i suoi film e a una grossa installazione artistica.

NON E' ANCORA NATO / Caroline Baglioni e Michelangelo Bellani
Il sacro come manifestazione della morte, ovvero la morte come manifestazione del sacro. Soprattutto l'attesa della morte ed il suo iniziale manifestarsi, nel distacco tra un padre ed una figlia che sembrava consumato ed invece la malattia manifesta improvvisamente quasi ad interrogarci sui gesti che hanno contrassegnato la nostra vita, molto più di quella di chi ci lascia e si allontana. Gesti e scelte che riempiono la stessa vita come fosse una tanica che dobbiamo trasportare con noi fino alla consunzione oppure al perdono finale. La drammaturgia è ben scritta ed è altrettanto bene interpretata ed è ricca di suggestioni (gli autori suggeriscono il vecchio Edipo che trova finalmente pace). Di Caroline Baglioni e Michelangelo Bellani, con Caroline Baglioni. Luci Gianni Staropoli, suono Valerio Di Loreto, supervisione tecnica Luca Giovagnoli, collaborazione artistica Marianna Masciolini. Regia Michelangelo Bellani con il sostegno del Teatro Stabile dell’Umbria.

GRAN GLASSE' / Gli Omini – Extraliscio.
È lo spettacolo che ha concluso il festival. Gli Omini si confermano qui veri e propri pescatori di   suggerimenti esistenziali, selezionatori raffinati di voci e parole che sulla scena trovano una sistemazione inaspettata, significando in profondità quello che nella realtà avevano significato forse solo in superficie. Qui abbinano la loro presenza con la suggestiva risonanza di una orchestra di liscio, quasi uno specchio che raddoppia o una eco che giustifica. Infatti, al di là della sintassi da varietà e da farsa, proprio l'interlocuzione con quella musica popolare produce un effetto di prospettiva che accompagna il discorso drammaturgico molto al di là, nel disagio della mente e nell'incertezza di anime che vorrebbero credere in sé stesse ma non riescono a farlo, ben oltre dunque quello che l'apparenza narrativa ci lasciava immaginare. La capacità e la presenza scenica dei protagonisti è notevole e, di prova in prova, si perfeziona diventando sempre più raffinata. Si ride (molto e volentieri) e si balla senza mai perdere il contatto con noi stessi. Una serata di parole sudate e punk da balera. Ideato e prodotto da Gli Omini, glassatura Giulia Zacchini, luci Alessandro Ricci. Con Francesco Rotelli, Francesca Sarteanesi e Luca Zacchini insieme a Armando Savini vox, Enrico Milli tromba fisarmonica, Daniele Bartoli chitarra basso, Mirco Mariani piano chitarra 12 corde vox. Con loro due stelle del liscio romagnolo, Moreno “il Biondo” Conficconi e Mauro Ferrara, la voce di “Romagna mia”.

EPISODI DI ASSENZA1 SCIENZA VS RELIGIONE / Quotidiana.com
A proposito di filo rosso, le tre giornate del Festival sono state attraversate da questa sorta di “striscia quotidiana” (appunto) che con ironia e curiosità si interrogava sul rapporto tra scienza e religione, cioè su quale fosse in fondo il più sincero tramite del sacro, dalla metafisica all'esistenza. Drammaturgia secca e suggestiva, in un certo qual modo debitrice del teatro dell'assurdo ma anche di quei “luoghi comuni” popolari che accompagnano il nostro transito tra leggerezza e scavo intimo. Tra putti barocchi e coro greco, l'immagine di una polis perduta perché ha perduto il sacro. Bravi come di consueto i protagonisti che ad ognuna delle tre “strisce” danno un titolo suggestivo (“precipitevolissimevolmente”, “spara”, “l'apparenza inganna: l'apparizione anche”). Con Roberto De Sarno, Pietro Piva, Roberto Scappin, Antonella Spina, Paola Vannoni. Drammaturgia quotidiana.com. Progetto scenico Roberto Scappin. Una produzione quotidiana.com, Kronoteatro, Armunia Festival Inequilibrio con il sostegno di Regione Emilia Romagna, Kilowatt Festival, Santarcangelo dei Teatri Residenze artistiche, PIMOff Progetto residenze, Cantiere Moline (Emilia Romagna Teatro, ATER).   

Tre giorni dunque di teatro, musica e riflessioni all'insegna di un rinnovato recupero della sintassi drammaturgica, della costruzione cioè della parola in scena che sembra rinnovarsi oltre la semplice performance.