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Uno spettacolo particolare, ambiguo, da gustare, da spettatore-protagonista, coinvolto in un oscuro dramma familiare, seduto attorno ad una sontuosa tavola apparecchiata per pochi e privilegiati invitati. Davanti ad un piatto vuoto ed un calice di vino rosso. Stiamo parlando della pièce “La Cena” scritto da Giuseppe Manfridi e diretto dal regista Walter Manfrè che ha inaugurato, a Catania, la 53^ stagione del Piccolo Teatro della Città dedicata dal Teatro della Città - Centro di Produzione Teatrale all’innovazione e alla sperimentazione e soprattutto al teatro di parola e alla drammaturgia contemporanea. "La cena", scritta - su sollecitazione di Walter Manfrè - da Giuseppe Manfridi, uno dei più importanti drammaturghi italiani contemporanei, è un’opera carica di tensione drammatica e di ironia. La pièce ha visto il suo debutto a Roma nel 1992, visitando i più importanti teatri nazionali ed ha preso nuovamente vita nel 2016 approdando, ancora una volta, in alcuni dei più importanti teatri d’Italia. Il testo di Giuseppe Manfridi è anello fondamentale all’interno di quel “Teatro della Persona”, con cui il critico Ugo Ronfani, nel 1993, sintetizzò il senso della poetica espresso dal

percorso registico del regista messinese Manfrè.
La peculiarità questo spettacolo, nei suoi sessanta minuti, è l’annullamento della distanza tra attori e pubblico ed a quest’ultimo viene assegnato un ruolo all’interno del dramma senza che ciò possa mutare lo svolgimento della trama raccontata dai quattro protagonisti. La pièce vede ogni sera un numero limitato di spettatori (da 12 a 27 a rappresentazione) ed il pubblico è introdotto in sala da un maggiordomo che lo accompagna al posto assegnato, ovvero attorno ad un tavolo apparecchiato, con una tovaglia bianca, un piatto vuoto e un calice con del vino rosso. Ad aspettare, in silenzio, gli spettatori -invitati c'è già il padrone di casa, un padre despota e suocero sarcastico, interpretato dall'attore modicano Andrea Tidona.
Dopo una breve discussione con il maggiordomo Fangio, interpretato con rigore assoluto da Cristiano Marzio Penna, entrano in scena gli altri due protagonisti, Chiara Condrò (nei panni della figlia Giovanna) e Stefano Skalkotos (nel ruolo del genero Francesco). Tra padre, figlia e genero si avvia subito una discussione riguardante i misteriosi affari di famiglia di natura assolutamente personale che intrigano e turbano gli invitati - spettatori, non coinvolti - comunque - nelle beghe familiari dei protagonisti della vicenda.
Tutto ha inizio dal ritorno a casa di una figlia, allontanatasi da qualche tempo dalla casa di un padre burbero e despota. Ci s aspetta un rappacificamento, la figlia è accompagnato dal compagno Francesco ma  il padre prepara invece un sottile un gioco infernale e un inganno per la figlia Giovanna di cui è  invaghito e per il futuro genero. Un padre, quindi, che attraverso i suoi giochetti, con degli assegni poi bruciati, le sue parole, le sue domande provocatorie, riesce a svegliare gli istinti dei due giovani facendo venire a galla i lati peggiori di tutti: il giovane suocero è debole e avido, il maggiordomo assetato di denaro e la figlia ha la forza di reagire, ma forse si accontenta di un amore non autentico pur di allontanarsi dall’amore malato, ossessivo del padre.
Una pièce tirata, intensa, complice il coinvolgimento emotivo del pubblico- a stretto contatto con gli attori- voluto dall'abile regista Walter Manfrè e che regala vere emozioni all'insegna dell'autentico "teatro di parola" e la tavola imbandita, che accoglie gli spettatori-invitati, è luogo di incontro - scontro tra i protagonisti di un appassionante, drammatico, dialogo familiare. Lo spettatore assiste imperterrito, turbato e coinvolto, si confonde tra  le pieghe della vicenda, non potendo, però, cambiare le sorti della storia, della trama.
E' un gioco spietato quello tra il padre, la figlia, il genero ed il maggiordomo e che fa emergere soprattutto l'ossessione di un padre nei confronti della figlia che ritiene sempre sua e bambina da proteggere e poi le paure e le mancanze del genero nei confronti della donna che ama, l'attaccamento al denaro del maggiordomo e l'indecisione della figlia che preferisce imbarcarsi in amori di circostanza pur di allontanarsi da un padre autoritario e possessivo.
Spettacolo - alla fine - lungamente applaudito dal pubblico invitato attorno alla tavola imbandita. Lavoro da vedere e da vivere con gli stessi interpreti, nella stessa tavola, che coinvolge narrando le ossessioni spesso presenti in molte famiglie: aspetti, sfaccettature oscure dell’animo umano, che albergano, misteriose e ben nascoste nelle pieghe di tanti nuclei familiari dei nostri giorni.
Regia impeccabile quella di Walter Manfrè, per una pièce che sa scrutare nell'animo umano, confondendo e mescolando realtà e finzione, attori e pubblico.
“La scrittura di Manfridi, poeta psichiatrico, sadico visionario- spiega il regista Walter Manfrè - segue con occhio crudele i propri personaggi, incline solo a qualche tenerezza verso il mondo femminile. Ma la scrittura è di qualche anno fa. Chissà oggi, dopo la scoperta da parte di sociologi e psicologi della sindrome della donna-astio, quale sarebbe il suo epilogo. Nello spettacolo l’equilibrio tra rito e gioco consente di recuperare quella teatralità che è sempre nel mio mirino di regista intenzionato a far sì che il pubblico, pur  lasciandosi andare al flusso di imbarazzi e turbamenti che la situazione propone, non dimentichi mai di essere a teatro”.

La cena
di Giuseppe Manfridi
Regia Walter Manfrè
con Andrea Tidona e con Chiara Condrò, Stefano Skalkotos, Cristiano Marzio Penna
Produzione Teatro della Città - Centro di Produzione Teatrale
Stagione Piccolo Teatro della Città, Catania - 8, 9, 10 e 11/15, 16, 17 e 18 Novembre 2018