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Titolo simbolico e metaforico per questo spettacolo tratto dallo scritto inedito del compianto Franco Scaldati e costruito sulla scena da Enzo Vetrano e Stefano Randisi. Tre nomi che fissano le radici della drammaturgia siciliana dagli anni Settanta ad oggi e che evidenziano le fondamenta di una forma di scrittura e di messinscena da cui si dipanano e si ramificano le variegate forme della drammaturgia siciliana contemporanea. Se oggi i punti di riferimento principali, osservando la produzione testuale e scenica siciliana degli ultimi vent'anni, sembrano essere collocabili all'interno della fiorente drammaturgia degli anni Novanta, non possiamo dimenticare di fissare come caposaldo e vertice Franco Scaldati. Prolifico negli anni Novanta, cominciò a scrivere nel 1976, ossia negli stessi anni in cui Vetrano e Randisi cominciarono a lavorare insieme; i due artisti tessevano costantemente contatti con artisti e compagnie importanti, come lo stesso Leo de Berardinis e il progetto

bolognese Cooperativa Nuova Scena di Bologna, fino alla fondazione, negli anni Novanta, dell'Associazione Culturale Diablogues. Il rapporto tra terra d'origine, evidenziato da un'attenzione al racconto e alla lingua, si fonde con la curiosità per la sperimentazione corporea e vocale, rendendo questi artisti completi e sempre attuali. L'irriverenza della loro scrittura, il paradosso e l'ironia, si velano di una patina di malinconia, elemento, quest'ultimo, che si ripresenta anche nello spettacolo OMBRE FOLLI, in scena presso la Sala Assoli di Napoli dal 29 novembre al 1 dicembre.  
Racconto poetico quello firmato da Scaldati, già presentato al pubblico nel 2017, attraverso la presenza scenica e la voce di Vetrano e Randisi: fortemente narrativo, sebbene riveli anche la sua natura teatrale soprattutto nell'ultima parte, l'intero racconto  è caratterizzato da un'aurea poetica che riveste non solo la parola, ma anche la gestualtà e l'ambientazione. Ciò che sorprende immediatamente è la fortissima immedesimazione del pubblico, catapultato in una dimensione atemporale in cui la caratterizzazione geografica della parlata, quella palermitana, sembra svanire nel corso dello sviluppo del racconto. Anche la traduzione di alcune frasi o modi di dire, proiettata sul fondo, così come quella operata dagli attori, che a vicenda raccontano o in italiano o in dialetto, appare come un'operazione funzionale alla comprensione da parte di un pubblico non siciliano, ma "camuffata" e integrata perfettamente nella struttura scenografica e drammaturgica  dello spettacolo. La costruzione di questo prodotto scenico mostra una perfetta omogeneità tra drammaturgia, scenografia, musica, gesti e voce, rendendolo uno degli spettacoli italiani più eleganti e poetici in scena in Italia negli ultimi anni. Tutto ciò che si ricerca all'interno di uno spettacolo, dall'ottima scrittura alle emozioni, al colpo di scena, alla costruzione scenica, alla straordinaria intensità degli sguardi e della voce, alla perfetta simbiosi tra i due attori,  OMBRE FOLLI sembra contenerlo. I personaggi emergono dall' oscurità e rimangono ombre durante tutta la loro vita. Una macchina da scrivere e l'inizio del racconto recuperano allegoricamente la figura di Scaldati, la cui presenza è fortissima e malinconica. Un racconto a ritroso che, quasi alla fine, svela chiaramente la trama, già intuita ed immaginata da ogni spettatore. Uomini ai limiti della società, scartati da questa, ombre folli perché invisibili e considerate devianti e deviate, maschere nel gioco della finzione quotidiana. La storia di un travestito omicida che incarna eros e thanatos, un poeta delicato e malinconico che invoca amore e parla alle stelle, si incastra, quasi in conclusione, a quella di un amico "schiettu", ossia mai sposato o fidanzato,  che cambia la sua vita e lo costringe ad una reclusione forzata affinché non ritorni alla vecchia vita. Ma qual è la vera vita? La deviazione dall'omologazione rappresenta forse la felicità?
Ambientazione oscura che apre la scena con un senso di compiutezza: tutto è già stato, tutti sono già morti, i mobili sono coperti da un lenzuolo bianco, la parrucca è già stata tolta. La morte è la vera protagonista e due personaggi grotteschi, interpretati da Vetrano e Randisi appunto, raccontano con rassegnazione, malinconia ed un velo di ironia ciò che è accaduto. Nessun rimorso, nessuna volontà, se non quella di vivere amando, nessuna apertura speranzosa verso il futuro, con un sorriso dolce e ironico, quello del protagonista. L'immobilità della condizione, riprodotta fisicamente con gesti mai prolungati, bensì arrugginiti e trattenuti, descrive uno status accettato dai personaggi, mai rifiutato, ma reso migliore da una profondissima e rispettosa consapevolezza della vita e, soprattutto, della morte. Nessuna recriminazione nei confronti di una vita dolorosa, ma una lucida e poetica osservazione della propria natura, senza colpe e accuse al mondo. Il racconto assume le sembianze di un diario conclusivo, attraverso le cui pagine si ripercorre la propria vita e si accetta se stessi. Scaldati si sovrappone ai suoi personaggi e gli attori allo stesso autore. La casa senza luce e senza finestre, il "lustru", la luminosità, che proviene dallo stesso morto, le candele, il cimitero: così inizia il racconto, mai macabro, mai negativo, ma così poetico da elevare l'animo degli spettatori.
E senza fronzoli si conclude: ticchettìo dei tasti sulla macchina da scrivere, due anziani che si fanno compagnia mangiando un gelato, buio. Applausi scroscianti e prolungati. Noi ne aggiungiamo uno in più  per lo straordinario settantenne Enzo Vetrano. Doveroso aggiungere questa analisi dello spettacolo, tassello imprescindibile all'interno del percorso di osservazione della drammaturgia siciliana e della drammaturgia contemporanea del Sud Italia.

OMBRE FOLLI
Sala Assoli