È l'ultima delle “Lezioni di Storia” organizzate dal Teatro Nazionale di Genova e dalla “Editori Laterza” e si è tenuta in matinée domenica 13 gennaio negli ampi spazi del Teatro della Corte davanti ad un pubblico numeroso. Gli incontri (avevamo dato conto del primo sulla Guerra) riprenderanno il prossimo settembre. Protagonista di questa interessante lezione Emilio Gentile, storico di fama e di profonda preparazione scientifica, professore emerito alla Sapienza di Roma, e oggetto della sua prolusione un argomento vasto e pieno di implicazioni, implicazioni che vanno, e sono andate, ben oltre lo specifico storico per riguardare una più generale condizione dell'uomo e dell'umanità vista dall'occhio non solo della letteratura ma della stessa filosofia. In effetti Gentile ha assunto per guardare il grande tema del secolo breve e del suo fallimento un angolo di visuale per così dire 'sbieco', quello di uno scrittore e di un romanzo “scandaloso” e cioè Henry Miller ed il suo essenziale
“Tropico del Cancro”.
Siamo al centro di quel periodo ineludibile del novecento che sono gli anni tra le due guerre mondiali, gli anni dei totalitarismi e dei grandi massacri, ma anche gli anni nei quali si affermano nuovi paradigmi quali psicoanalisi, marxismo e il pensiero nicciano, e lo studioso con grande efficacia individua nell'opera di Miller, non solo nel suo contenuto ma soprattutto nelle modalità del suo farsi, il nucleo di una ribellione all'inevitabile, il segnale di un allarme mai veramente colto dalla Società e dalla cultura, mentre il mondo scivolava su se stesso.
Un romanzo non a caso, ci fa capire Emilio Gentile, scritto e pubblicato per la prima volta in Europa, che di quell'occidente in crisi era stata la culla e aveva forse i mezzi per impedirne la caduta, e mai veramente accolto negli Stati Uniti d'America, mondo e società che Miller disprezzava fino all'odio, forse perché anticipava gli esiti di quella caduta e di quel disfacimento.
Uno sguardo sbieco dunque che, a partire dal contesto in cui si sviluppava l'esistenza del romanziere, si dirigeva alle profondità di una individualità e di una materialità esistenziale che quel contesto cominciava a coartare e sopprimere in nome di una totale e omogenea indifferenza funzionale al dominio.
Il sesso dunque, ma come espressione concretamente fisica e spiritualmente evidente dell'amore come pegno inevitabile della libertà individuale, esistenziale e anche sociale, come bussola di navigazione in un mondo che dirigeva verso il suo naufragio.
Ciò che era osceno dunque non era la rinfacciata ma inesistente pornografia (il libro in America fu liberato solo nel 1961) era piuttosto la verità, la verità esistenziale, metafisica e fisica dell'amore come centro della relazione. Un osceno tra l'altro che anticipava di molti anni i suoi successivi epigoni, dalla Beat Generation a Fassbinder.
Emilio Gentile ha ripercorso il sentiero di Miller, con passione e competenza ma anche con quel pudore che sembra svelare, del supposto autore scandaloso, l'ingenuità profonda di uno pensiero libero prima ancora che liberatorio.
Prezioso a questo proposito il breve brano, riproposto dallo studioso, dell'ultima intervista a Henry Miller ormai novantenne, nel suo letto e ormai prossimo alla morte in cui con la forza della sincerità ripropone la sua felicità, una felicità preservata dalla sua sincerità e dalla profonda adesione alla propria individualità, forza vitale capace di contrastare la storia singola come quella collettiva.
Una conferenza che chiude in maniera appropriata un ciclo interessante e a cui il pubblico ha risposto con gratitudine.