A mio parere sono molto pochi i personaggi della letteratura che impregnano come il nostro Don Chischiotte l'immaginario collettivo e che eppure sono così poco conosciuti in fondo e nel profondo, sorta di segni e segnali, di suggestioni che usiamo per rintracciare significato altrove e in altro modo. Forse anche e proprio per questo Don Chisciotte è uno dei personaggi, ovvero una di quelle realtà della mente e della scrittura paradossalmente ontologiche come in Pirandello, narrativamente e teatralmente più fecondi e funzionali. Pino Petruzzelli ad esempio, in questa sua ultima drammaturgia, lo utilizza in maniera anti-filologica e, se vogliamo, anche autoironica come sonda semiseria per navigare e solcare la nostra tumultuosa contemporaneità, tra tragedie delle migrazioni umane, poteri lontani e occulti, specchio di società liquide e divenute prive di valori, tra fellonia e rabbie apparentemente incontrollate ma destinate a spegnersi come manzoniane rivolte per il pane. Ne esce un po' sacrificata la psicologia del personaggio, in quel suo barocco specchiarsi nei propri sogni, fascinoso e fascinatorio percorso di una mente alla ricerca più di sé stessa che della realtà, centro di una
narrazione che la mente proietta in continuazione sul palcoscenico del mondo.
Don Chisciotte è qui soprattutto un uomo che, nella sincerità, cerca giustizia per sé e per gli altri e lo fa cercando di rendere plausibili e concreti i propri sogni per risvegliare nella società la perduta capacità di immaginare un nuovo mondo possibile.
Il dualismo sogno-realtà, libertà-ragione, dover essere e poter essere, si trasferisce così dall'individuo alla relazione collettiva, in un riscatto che vorrebbe e dovrebbe accomunare ciascuno di noi nel suo fare concreto e quotidiano.
È un dualismo che attraversa anche la relazione con il suo sodale Sancho Panza, una relazione che si può definire di classe, all'interno della quale Sancho Panza ha molte delle caratteristiche non tanto del teatro barocco quanto della commedia dell'arte, un po' Arlecchino un po' Pulcinella perseguitato dalla fame, e l'uso del dialetto genovese, molto apprezzato da un pubblico che ricorda Govi, ne è sintattica evidenza.
Uno spettacolo interessante che però, proprio per le sue caratteristiche, scivola talora in retorica con qualche inaspettato luogo comune che allenta la tensione scenica e allontana l'attenzione dello spettatore.
In scena l'autore e regista, capace come di consueto di caratterizzare anche figurativamente il proprio personaggio, e con lui a dividere il palcoscenico il bravo Mauro Pirovano un furbescamente allampanato Sancho Panza genovese. Infine il musicista Alessandro Pipino li accompagna con musica live.
Una produzione Teatro Nazionale di Genova, al teatro Duse dal 10 al 20 gennaio. Grande l'affluenza del pubblico e molti gli applausi.