Maschera, finzione, recitazione sono nella nostra controversa contemporaneità i termini cardinali dell'apparenza e quindi della superficie di una esistenza che mostra più che mostrarsi, una superficie su cui emerge perdendosi e liquefacendosi la nostra essenza più intima. Andy Warhol è forse l'artista che ha percepito più di ogni altro questa modalità attorno alla quale si è organizzata la moderna società del consumo, del potere onnivoro del denaro, e del capitale che dietro la superficie di una apparente libertà nasconde il vuoto. E certamente nessuna società come quella americana ha coltivato ed anticipato l'evoluzione, psicologica ed estetica, che Warhol ha saputo così bene interpretare. Il mondo come un enorme contenitore da colorare e da riempire di beni di consumo, sostituibili e ripetibili in una epoca che paradossalmente supera la stessa riproducibilità dell'opera d'arte di benjaminiano concepimento e memoria. Il tutto simboleggiato dal denaro, oggetto insieme virtuale e
maledettamente concreto, stampato in quantità industriale, nascosto e riprodotto in forme innumerevoli sempre diverse ma sempre eguali a sé stesse, in una coazione che risolve e simula la stessa identità umana che si perde, come i volti colorati delle sue opere, appunto sulla superficie.
Di questo parla il bello spettacolo di Laura Sicignano, scritto insieme ad Alessandra Vannucci, anzi per meglio dire tutto questo intercetta la drammaturgia, senza pretendere e senza giudicare la strana mescolanza esistenziale di un uomo dalla nascita aliena (un altro mondo e un altro tempo) e dalla biografia controversa che di sé dettò la seguente definizione: "Non c'è niente da dire su di me. Non sto dicendo niente in questo momento. Se volete sapere tutto su Andy Warhol, vi basta guardare la superficie: dei miei quadri, dei miei film e della mia persona. Dietro non c'è niente".
In effetti più che raccontare Andy Warhol, ovvero di Andy Warhol, questa drammaturgia cerca di riprodurre con altra sintassi la procedura creativa di Andy Warhol, fatta di negazioni e di progressive soppressioni per rivelare il nulla in cui aveva voluto nascondersi, nascondere la propria anima, nascondere il proprio trascorrere in questa vita.
Così scandali e bizzarrie diventano un disegno esistenziale più che artistico, in una confusione di arte e vita in cui la prima prevale e la seconda infine soccombe, insieme alla madre e a tutti quelli che ne hanno accompagnato i ritmi frenetici.
In una scenografia, firmata da Emanuele Conte, in continua mutazione, è brava la protagonista Irene Serini, en travesti a segnare la fluttuazione continua cui Warhol aveva voluto legare la propria immagine e la propria identità, è brava dicevo ad assecondare le ossessive oscillazioni della narrazione scenica e di un testo che dà alla superficie che racconta una inattesa profondità.
Un bello spettacolo cui contribuiscono adeguatamente le luci, i video e il suono di Luca Serra nonché i costumi di Daniela De Blasio.
Alla sala Campana del Teatro della Tosse di Genova dal 24 al 27 gennaio.
Foto di Francesca Gazzolo