Indagare e dare forma di parola a ciò che chiamiamo amore è il motore che muove il Bardo nei suoi famosissimi (più famosi forse che veramente conosciuti) sonetti, è il rovello che spinge, oltre la poesia e la stessa poetica, la sua estetica ricerca dipanata su un foglio che già un palcoscenico, profondo, davanti ai nostri occhi. Un amore più essenziale che esistenziale, più platonicamente metafisico che psicologico, una energia che ricerca e unisce, che si sovrappone e che si metamorfizza, declinando e deformando l'uomo nella sua più intima immagine, che muove la relazione con l'altro e nella relazione con l'altro si muove. Un amore che vive nell'ambiguità e ne trionfa, oltre i generi e le identità che possono serenamente specchiarsi e mutarsi in una mimesi che, al di là di ogni singolare e definita volontà, ha nel dolore della scissione e nel desiderio di unirsi la propria esclusiva finalità. È, dunque, non tanto un dare forma e indagare sé stesso ma piuttosto, proprio nella
sovrapposizione delle identità interessate, che siano il soggetto o l'oggetto della passione, è, anche attraverso gli strumenti della retorica che costruisce parola e sintassi, un indagare il mondo nella sua forma erotica. Così quasi spontaneamente slitta nella costruzione di un dramma, è già intuizione e suggestione drammatica, è in fondo già una drammaturgia.
Valter Malosti lo intuisce e se ne appropria costruendo su quelle parole, che sono anche ma non solo poesia, una drammaturgia articolata e dipanata nella lotta del suono con il suo significato, nel confronto tra dizione e coreografia, tra musica e narrazione, così che, rivisitate e transitanti sulla scena, quelle parole possano acquistare nuovo spessore e nuove prospettive.
Per questo la scena non è solo lettura e Malosti vi si muove mutevole e mutante, pagliaccio serio che transita e sconfina tra passato e contemporaneo, sotto lo sguardo lontano di un accigliato Shakespeare, a testimoniare e confermare che lui (il bardo intendo) è altra cosa dalle sue parole.
Attorno a lui una intensa Michela Lucenti, la Signora Nera, predispone e danza una coreusi che lo avvolge, una sorta di eco ripetuta di quella narrazione mentre i versi di note canzoni si sovrappongono e si mescolano, confondendosi, con quelle antiche parole.
Insieme a loro e bravi come loro Maurizio Camilli, il poeta rivale, Marcello Spinetta, il giovane ragazzo ed Elena Serra, lo Shakespeare accigliato.
Versione italiana e adattamento teatrale di Fabrizio Sinisi e Valter Malosti che ne è anche il regista. Scene e costumi Domenico Franchi, luci Cesare Agoni e Sergio Martinelli, acconciature e trucco Bruna Calvaresi, assistente alla regia Elena Serra. Canzoni di Domenico Modugno :Un pagliaccio in paradiso, Che cosa sono le nuvole, Dio come ti amo, progetto sonoro Valter Malosti, musiche voci e frammenti sonori da Alan Splet, Murcof, Bruno Pronsato, Michael Nyman, Al Pacino, Scanner, Arvo Pärt, estratti da Liquefatto, progetto musicale di Gup Alcaro e Valter Malosti. Suono Fabio Cinicola. Una produzione TPE-Teatro Piemonte Europa, CTB Centro Teatrale Bresciano, Teatro di Dioniso.
Uno spettacolo intenso, profondo e molto applaudito. Alla sala Trionfo ospite del Teatro della Tosse di Genova il 2 e 3 febbraio.
Foto Umberto Favretto