Roberto Alajmo è un scrittore siciliano che qualcuno definirebbe “adulto”, ovvero uno di quei narratori che, pur avendo studiato, compreso a fondo e fatta propria la lezione dei grandi letterati, scrittori e drammaturghi della nostra isola dei secoli scorsi, non la ripete e crede che non esistano (che non esistano più o forse che non siano mai esistite) “sicilitudini” “lucielutti”, “corde pazze”, irredimibilità, impronte caratteriali e/o antropologiche definite e indelebili, ombre che provengano dal mondo arabo o dal mondo greco addirittura… et quod vides perisse, perditum ducas… Ecco, magari su queste cose ci si può ancora trastullare in qualche conferenza di provincia, ci si può scrivere qualche libro, l’ennesimo, ma avrà un sapore stantio e difficilmente dirà cose attuali e davvero necessarie. Perché questa premessa? Perché solo uno scrittore così potrebbe aver scritto un testo come “Chi vive giace” ovvero un testo in cui, con leggerezza persino svagata, con ironia e intelligenza dissimulata e
divertita si mescolano i campi di vita e morte, di famiglia e individuo, di commedia e tragedia senza indugiare su colte reminiscenze e più o meno criptiche citazioni. E si mescolano, questi campi, usando l’italiano regionale, sorridente, leggero, umanamente maturo proprio di questo scrittore e della borghesia colta palermitana, che non è mafiosa ma che però a rinascite, palingenesi, liberazioni non ci crede più e si gode, disincantata, i piaceri minimi dell’ironia, del principio di realtà divenuto prassi quotidiana senza necessariamente trasformarsi in resa, del buon teatro e di una cultura profonda, saporita e doverosamente ben dissimulata. Ci si riferisce allo spettacolo che ha debuttato sulla sena del Teatro Biondo di Palermo, dal 18 al 27 gennaio scorsi. La regia (intelligente) è di Armando Pugliese, che fa girare tutto lo spettacolo proprio sul perno della leggerezza linguistica, in scena ci sono David Coco (marito, giustamente smarrito), Roberta Caronia (moglie), Roberto Nobile (padre), Stefania Blandeburgo (madre, autorevole e divertita), Claudio Zappalà (figlio); le musiche sono di Piovani, le scene (molto belle) di Andrea Taddei, i costumi di Dora Argento, le luci infine di Gaetano La Mela. Un uomo s’interroga continuamente se e come deve vendicare la giovane moglie uccisa da una ragazzotto in un insensato incidente d’auto: ne parla di continuo con la morta che, bellissima, sorridente e morta, mischina lo dissuade da ogni gesto di vendetta. La famiglia del ragazzotto s’interroga a sua volta sul da farsi, ma questa volta è la madre, ovviamente anche lei morta, a prendere la situazione in mano e impedire con una certa spiccia e divertente durezza, ogni gesto inconsulto, per quanto onestissimo. Vita e morte s’inseguono, si alternano, si confondono fino a giungere al finale consolante e surreale della tavola apparecchiata per una cena da consumare insieme: normalmente, vittime sorridenti, parenti inutilmente sopravvissuti e carnefici smarriti, vivi e morti insieme e i morti più vivi dei vivi. Non un capolavoro, ma uno spettacolo ben congegnato, ben recitato, dotato di equilibrio e di una sorridente, luminosa leggerezza che lo rende gradevole.
Chi vive giace, testo teatrale inedito di Roberto Alajmo; messa in scena di Armando Pugliese, interpreti David Coco, Roberta Caronia, Roberto Nobile, Stefania Blandeburgo e Claudio Zappalà. Le scene sono di Andrea Taddei, i costumi di Dora Argento, le musiche originali di Nicola Piovani, le luci di Gaetano La Mela. Repliche fino al 27 gennaio e successivamente al Mercadante di Napoli (dal 29 gennaio al 3 febbraio) e al Comunale di Siracusa (22 e 23 febbraio).
Crediti fotografici: Rosellina Garbo