Sono ormai numerose, soprattutto in questi ultimi anni, le drammaturgie che prendono spunto dalla narrazione del calcio, come fenomeno sociale e storico, o meglio dalle variegate e talora contraddittorie narrazioni del calcio, quale epifenomeno a cavallo tra esistenze singolari e collettività fantasticate o anche allucinate. Questa drammaturgia di Giorgio Gallione, e già il titolo ne è sensibile indicatore, è però in un certo senso, nella sua inattualità, anomala sia dal punto di vista strutturale e sintattico, andando oltre il teatro di narrazione per costruire una vera e propria peripezia scenica tra musica, recitazione e coreusi, sia da quello più spiccatamente narrativo perché allunga il suo sguardo di bambino sull'immaginazione di un paese che nel calcio, oltre la sua stessa consapevolezza, pare tuttora riconoscersi. L'Argentina in fondo è un paese immaginario o meglio è un paese immaginato, cioè perennemente costruito su sogni e aspettative che paiono nascere
altrove, un paese ed un popolo che fatica a riconoscersi tante sono le contraddizioni che lo attraversano per sfociare, spesso e purtroppo, in tragedia.
Così la ricerca identitaria del sé, di un sé sfuggente e incerto, si aggrappa anche al calcio facendone il terminale appunto di sogni, immaginazioni e anche delle tragedie.
La bella drammaturgia di Giorgio Gallione coglie e rappresenta, a mio parere, questo nesso inestricabile, tra esistenze, immaginazione e storia, a partire dal centro motore, in sorta di spirale, della narrazione scenica che è la famosa finale dei mondiali di calcio 1978 tra Argentina e Olanda allo Stadio Monumental di Buenos Aires.
Quell'evento, dopo soli due anni dal golpe militare del macellaio Videla e dei suoi soci interni ed esterni, diventa un punto di caduta del prima e del dopo di quel paese e di quel popolo, un transito a passo di tango e di milonga, mentre una irreale fantasia si inventava surreali campionati patagonici con improbabili vincitori, ovvero storie di campi e rigori di pampa e solitudine quasi a combattere contro una realtà difficilmente accettabile (non per niente l'Argentina ha dato i natali, oltre che a grandi calciatori, allo straordinario Borges).
La messa in scena dunque transita, reciprocamente bilanciandosi, tra narrazioni fantastiche in cui si riconosce la scrittura di Osvaldo Soriano del quale ricordiamo meravigliosi articoli pubblicati dal Manifesto, e fatti storici, come la guerra del football sobillata dalle grandi multinazionali bananiere sostenute dalla CIA, e si struttura in equilibrio sintattico tra canzoni melanconiche, gags da avanspettacolo che sconfinano nella farsa comica, e incursioni nella storia tragica di quel paese e di quel continente, nella memoria quasi insostenibile dei desaparecidos riscattati però, in Plaza de Mayo, dal coraggio luminoso delle loro madri.
Oppure nella vita tragicamente spenta dell'arbitro Alvaro Ortega, ucciso per aver annullato un gol alla squadra del cartello di Medellin, e nel golpe cileno su cui risuonano bellissimi e terribili i versi di Pablo Neruda: “E arrivò il giorno in cui / i macellai devastarono il paese. / Iniziò così una storia di supplizi / i figli legati furono e feriti / arsi furono e gettati a mare / morsi furono e interrati / finché furono solo ossa / e subito venne la cenere e il sangue”.
Uno spettacolo interessante che sa colpire intimamente e che trasforma il ricordo in evento nel qui e ora della scena, e che sa squadernare davanti ai nostri occhi anche le mutazioni di un fenomeno popolare diventato strumento di propaganda e di potere a braccetto con i più bassi istinti del capitalismo moderno.
Drammaturgia e regia di Giorgio Gallione, con Neri Marcorè, Ugo Dighero, Rosanna Naddeo, Frabrizio Costella e Alessandro Pizzuto, bravi a sottolineare le mille sfumature, tra ironico e malinconico, tra comico e tragico, del testo.
Collaborazione alla drammaturgia Giulio Costa, scene e costumi di Guido Fiorato, musiche di Paolo Silvestri e luci di Aldo Mantovani, tutti di livello come l'ampio staff tecnico che li ha supportati.
Una produzione del Teatro Nazionale di Genova, al teatro Modena di Sampierdarena dal 19 febbraio a 10 marzo. Alla prima un pubblico numeroso e molto soddisfatto.
Foto Giulia Ferrando