Il padre faceva di tutto per affidare alla ricchezza, che era abilissimo a produrre, il mezzo per tenersi lontano dalla povertà da cui proveniva. Perché era destino comune a certi ebrei dell'alta societá, conseguire grandi scalate al successo ma con altrettanta rapiditá ripiombare nel ghetto. Poi la madre, una diva distaccata ed algida che intratteneva rapporti con gli alti ufficiali dell'esercito. E naturalmente lei, Irène Nemirowsky. La sua storia è distillata in un delizioso spettacolo di poco più di un'ora, in scena dal 5 al 10 marzo 2019 al Teatro Franco Parenti di via Pier Lombardo a Milano.
La vita agiata in Russia, la cultura francese che permea quell'area del mondo fino allo scoppio della rivoluzione del '17, poi la fuga in Finlandia, a Odessa, a Stoccolma e finalmente quello che le appare come il sogno di una vita, Parigi. Irène si rimescola nella vita parigina e si conosce, leggerezze, amori, la gioventù. Poi il primo romanzo di enorme successo, forse inatteso per lei stessa, "David
Golder", che la rende una celebritá ma anche il centro di furibonde polemiche nel clima già pesantemente antisemita dell'epoca. I ricchi ebrei di cui racconta le suscitano l'accusa di essere lei stessa un'ebrea che odia gli ebrei, sebbene le sue narrazioni siano ritratti balzacchiani invece di proclami politici. Il clima si fa pesante, l'invasione di Hitler, la fuga in campagna e infine la deportazione, con la morte ad Auschwitz. "Suite francese", l'ultimo dei grandi romanzi della Némirovsky, resterà in un cassetto fino al 2004, quando sará dato alle stampe con successo e ispirerá l'omonimo film di alcuni anni successivo.
Alessia Olivetti, nei panni di Irène, interpreta con leggerezza il personaggio, calibrando toni riflessivi ad impulsi vitali entusiastici. Un monologo che funziona, un bel testo senza fronzoli né pietismi, ma tutto incentrato su quel punto di vista sul mondo così particolare, poco incline alla malinconia e desideroso di assaporare i frutti della vita. Tra rivoluzioni e totalitarismi sullo sfondo, la parabola della scrittrice geniale si conclude in una camera a gas, mentre le pieghe della storia preserveranno per decenni la sua opera migliore.
La regia di Andrea Murchio, che é anche l'autore del testo, é votata alla semplicità, affidando tutto il potere della narrazione alla parola della Olivetti oltre che ad alcuni oggetti feticcio, come la valigia, passata di nonna in nipote.
Funziona l'architettura succinta ed evocativa, carattere tipico di questo e di molti spettacoli contemporanei. Al dettaglio preferiscono la suggestione, come a voler creare quadretti affrescati con pennellate rapide piuttosto che epopee.
Nota a margine. Lo spettacolo si svolge in un teatro blindato, tra bodyguard e metal detector. Nella sala accanto lo spettacolo del filosofo e giornalista Bernard Hernri Lévy, anche lui ebreo, esponente di quella corrente di pensiero europeista che cerca di riaffermare la supremazia degli ideali unitari a fronte dei sovranismi dilaganti. Cambiano i contesti e cambiano i tempi, ma ancora occorre proteggere chi esprime idee, racconta possibili orizzonti diversi, si spende per un mondo unito e non diviso.