All'apparenza costruita sugli schemi surrealisti della cosiddetta scrittura automatica questa drammaturgia di Deflorian/Tagliarini, navigando ansiosa e sospesa tra onirismi e una sorta di iper-realtà mentale, si scopre in realtà essere sintatticamente molto strutturata e anche molto 'controllata', tessuta come è, o almeno come la vediamo, su una scrittura che padroneggia un parlato sospeso e contraddittorio entro sintassi limpide e razionali. Sorprende in questa costruzione scenica, tra il narrativo ed il performativo, l'apparente naturalezza con cui una realtà distorta, che man mano si carica di angoscia, procede e si snoda davanti ai nostri occhi, confondendo ruoli e passioni, mescolando identità e sovrapponendo percorsi esistenziali che, come sogni, si impadroniscono e determinano vite 'qualunque', ribaltando, quasi senza che ce ne accorgiamo, consueti schemi di interpretazione e significazione. Il sogno, come del resto il teatro che come noi è fatto della medesima materia, sembra
dunque costruire la vita dandole un senso, uno qualsiasi ci sembrano suggerire i narratori, e non viceversa.
Causalità e coincidenze poco junghiane, lapsus improvvisi molto freudiani, non ci vengono da una esistenza fin troppo rigida e predeterminata, ma transitano dai sogni e dai teatri in un esistere surreale fatto di rimpianti che così ci appaiono recuperabili.
L'identità singola diventa dunque una membrana osmotica che assorbe dall'uno e dall'altro versante e man mano si riempie fino ad irrigidirsi.
È questo il pensiero, il pensiero che in fondo siamo perduti e aggrappati a poco più di una nuvola, che percorre uno spettacolo che però sembra parlare d'altro, girovagando tra canzoni e finte nostalgie, tra rancori rimossi e passioni interdette, tra anime alla ricerca di uno spessore che la contemporaneità, sociale e psicologica, allontana e nasconde.
Uno spettacolo tutto sommato suggestivo che però talora rincorre un eccesso di razionalità compositiva che stona nel contesto, suggerendo situazioni che forse appaiono troppo determinate e deterministiche.
In scena con i due drammaturghi Daria Deflorian e Antonio Tagliarini i bravi Francesco Alberici e Monica Demuru, cantante di livello, i quali hanno anche collaborato al progetto. Il testo su Jack London che integra e arricchisce la narrazione è di Attilio Scarpellini, mentre le musiche che l'hanno accompagnata, la narrazione intendo, sono di Lucio Dalla, Mina, Georg Friedrich Handel e Lucio Battisti.
Costumi di Metella Raboni, luci di Gianni Starapoli con la collaborazione di Giulia Pastore.
Una produzione Sardegna Teatro, Teatro Metastasio di Prato ed Emilia Romagna Teatro Fondazione, ospite del Teatro Nazionale di Genova, al teatro Duse il 15 e 16 marzo. Il pubblico, invitato qualche volta a chiudere gli occhi così da entrare meglio in sintonia, ha apprezzato.
Foto Dietrich Steinmetz