C'è un neologismo, in verità più di utilizzo socio-politico che estetico, ormai entrato in uso comune e negli onori del vocabolario Treccani, che sembra in qualche modo suggerito da questa drammaturgia molto interessante di Oscar De Summa. Questo neologismo è “glocal” inteso ad indicare ciò che vi è di globale in un fenomeno locale e che, qui, nasce e si ancora nella suggestione che questo spettacolo crea, la suggestione che quello che sta accadendo in quel “piccolo, piccolo, piccolo...piccolissimo paese” del Salento riguarda, e molto nel profondo, tutti noi. In effetti in quel piccolissimo paese Maria, la sorella di Gesù Cristo appunto (in realtà sorella di un certo Simone che interpreta il Cristo nelle processioni della settimana santa), ha subito violenza e ora, nel qui e ora del teatro, sta cercando vendetta e riparazione tramite un vecchio revolver di famiglia, regalato un tempo da un misterioso zio d'America. Quella che si avvia dalla casa di Maria, e che vediamo quasi materialmente trascinarsi in palcoscenico, è dunque una sorta di via crucis per diluire nel sangue il sangue della perdita dell'innocenza (e non solo di Maria), per riscattare nel capro espiatorio, in cui
come insegna Girard la società si rispecchia e mimeticamente si cela, il peccato di essere.
Maria rifiuta di nascondersi, di introiettare quel peccato, e così attraversando il paese lo rende pubblico e ciascuno è così costretto a confrontarsi con esso e a revisionare in esso, quasi fosse una confessione comune, i propri schemi, i propri pregiudizi, i propri luoghi comuni, quelle maschere che paiono rendere tollerabile il male ma in realtà lo alimentano.
Dobbiamo prendere posizione, noi e loro, mentre Maria con passo sicuro e una lacrima che duole sul suo viso si avvia al suo appuntamento con una verità, quella necessaria, fino al bivio finale tra violenza e violenza, tra riscatto e riscatto.
La narrazione scenica diventa pertanto anche una denunzia articolata e intima della violenza sulle donne, capace di andare oltre le mode e le semplificazioni del “politically correct” e di obbligarci ad investigare noi stessi al di là di ipocrisie e finte adesioni.
È bravo Oscar De Summa ad accompagnarci in questa peripezia mantenendoci a galla con il distacco della sua ironia amara, ma anche con il riso aperto del grottesco andare di strani personaggi, su un fiume di emozioni cui dà evidenza modulando con sapienza la sua voce e anche il microfono che la filtra, mentre scorrono video e disegni che riprendono con forza la storia mentre questa transita sulla scena sostenuta da un bel accompagnamento musicale.
Uno spettacolo che è una conferma di una crescita artistica che sa rinnovare il teatro di narrazione nella multimedialità dei linguaggi e che sa dare dimensione drammaturgiche e nuove prospettive ad un monologo così articolato e stratificato da non essere quasi percepito come tale.
Di e con Oscar De Summa, progetto luci e scena Matteo Gozzi, disegni Massimo Pastore.
Produzione La Corte Ospitale, Attodue, Armunia - Castiglioncello Festival Inequilibrio, con il sostegno de La Casa delle Storie e Corsia Of, alla sala Campana del Teatro della Tosse dal 4 al 6 Aprile. Applaudito a lungo.
Foto Lucia Baldini