È la seconda anta di un dantesco trittico immediatamente, intimamente e anche necessariamente politttttttico, per riconfermare uno dei termini fondativi dell'idioletto delle Albe, in quanto capace di leggere e rappresentare nelle mille piegature della poesia esposta nei sentieri che percorrono le nostre storie, le mille piegature della realtà del nostro esistere, ieri e oggi e magari anche domani.
Il secondo movimento, dunque, di quella Commedia diventata 'divina' soprattutto perché profondamente umana, un Purgatorio così scandalosamente fedele a sé stesso, guardato e mostrato attraverso gli occhi fedeli di Marco Martinelli ed Ermanna Montanari, ed in cui la stessa parola è prima 'vista' e poi 'udita' mentre transita sulla scena aperta della città. Si prende dunque, noi e loro, la via dei 'fedeli d'amore' che nella gioventù di Dante avevano già visto ed anticipato l'energia di quell'amore che muove il mondo intero, incastonato nello sguardo perduto ma così ritrovato di Beatrice,
e insieme si riprende, come la definisce Erich Auerbach nei suoi “Studi su Dante”, la via della <<mistica d'amore dello Stil Nuovo che era di origine sensibile-poetica e culminava in una rivelazione estatica>>, oltre la razionalità ma che quella razionalità includeva e spiegava.
Un Purgatorio ancora più profondamente umano perché da loro intuito narrativamente, e poi percepito e drammaturgiacamente suggerito, come estetica e metaforica espressione dell'essenza dell'umanità, di ogni umanità, e della vita di tutti e di ciascuno in transito liberatorio e purificatorio dal dolore primitivo della cacciata e della frattura nel nostro 'esserci' nel mondo, alla consapevolezza-conoscena di sé, unico paradiso, prima terrestre e poi divino, che ci attende sulla sommità del monte che sta all'altro capo del mondo che rivede le sue stelle.
Infatti quanta più poesia c'è nella rete del nostro sguardo tanta più realtà, matericamente concreta in carne e sangue, viene intercettata e vi rimane imprigionata e consapevole.
Così, partiti dalla tomba che a Dante Ravenna ha dedicato, e superato un commosso e commovente Catone guardiano di quelle rive, noi poeta collettivo ed il nostro “Duca” attraversiamo vie accoglienti sorvegliate da angeli canterini, per giungere, appunto, segnati in fronte da quegli stessi angeli, alla prima cornice delle donne uccise con violenza, la cornice dei femminicidi, antichi e contemporanei.
Qui scorgiamo, per non dimenticare, Pia dei Tolomei e le sue compagne di ieri e di oggi, quasi, al modo del Sanguineti giovane dantista e poi creatore di un incombusto “Inferno”, travestendo di fedeltà all'oggi il pensiero del poeta di ieri, intatto e per questo ancora più nostro.
Man mano procedendo, la scrittura di Martinelli e Montanari comincia pertanto a definire i confini di una comunità, pubblicamente a ciò ri-chiamata, come luogo e tempo della condivisione e della consapevolezza, qui ancora forse più evidente che nella prima anta, proprio per la natura ancora più umana della seconda cantica.
Un luogo e un tempo di 'impegno', che un tempo poteva definirsi, ricordando ancora Edoardo Sanguineti, politico attraverso la poesia, un luogo e un tempo capace di suscitare e di custodire la verità terrena di quei transiti ultraterreni.
La tradizionale contrapposizione frontale nella differenza si trasforma così, nella drammaturgia di Martinelli e Montanari, in condivisa circolarità teatrale che coinvolge le differenze, quasi a visivamente rappresentare il tomismo di Dante, laddove il Tommaso di Auerbach <<conciliava la molteplicità dei fenomeni con la somiglianza teologica della creazione con Dio>> affermando, oltre l'imperfezione del creato, che <<si esige la molteplicità delle cose create , affinchè esse si possano avvicinare nel loro complesso alla piena somiglianza con Dio>>.
Girovaghiamo così, quasi come un unico organismo, tra violenti, superbi e poeti, tra invidiosi, iracondi e accidiosi e transitiamo, oltre gli avari, al monte ove la terra, già nostro paradiso, declina e soffoca sotto la frusta dello sfruttamento del potere e del capitale. Li ci attende (ma per quanto ancora?) la sua e la nostra Beatrice.
Girovagando, scorgiamo il sofferente e tradito Manfredi, il violento Bonconte, salvato da una lacrima, ovvero Oderisi da Gubbio ed i i superbi, richiamo a chi, anche tra gli artisti, ha cercato la gloria più della verità, così che ogni cornice ci lascia il segno di un racconto che si compone allo stesso modo con cui si compone la nostra intimità.
E dentro la comunità che li accoglie, la compagnia degli attori guida e suggerisce. Ognuno merita una citazione per la sua efficacia, da Mirella Mastronardi (Pia) a Roberto Magnani (Manfredi), da Massimiliano Rassu (Bonconte) a Matteo Gatta (Oderisi) e Frank Hentschker (Joseph Beuys), da Laura Redaelli (Sapia) a Alessandro Renda (Marco Lombardo), da Marco Montanari (Corifeo degli Iracondi) al barbuto Papa Adriano V di Alessandro Argnani.
Ma una parola in più meritano, io credo, Luigi Dadina ed il suo Ugo Capeto, sinossi eccentrica e profonda, già nella sua presenza scenica e nell'uso consapevole di una voce arroccata nelle sue sonorità, di un potere ambito, conquistato anche con l'inganno ma che si fa pesante come una corazza e arrugginisce privo di felicità. Un Lear disilluso e senza rabbia per un potere che divorando tutti noi divora sè stesso..
Una citazione singola e singolare va però anche allo spazio scenico e ai costumi che dobbiamo agli allievi della scuola di Scenografia e Costume della prestigiosa Accademia di Belle Arti di Brera, coordinati da Paola Giorgi e Edoardo Sanchi davvero ammirabili.
Insieme ai drammaturghi registi e agli attori condividono, sul monte che si affaccia all'ultimo atteso transito, la felicità dell'esito cittadini partecipi e cittadini spettatori, maestranze e tecnici, come una polis ritrovata che applaude e si commuove.
Dopo l'anteprima a Matera, ha dunque esordito il 25 Giugno a Ravenna, e lì vivrà fino al 14 Luglio, questo “Purgatorio”, drammaturgia itinerante dalla seconda cantica della Divina Commedia per l'ideazione, la direzione artistica e la regia di Marco Martinelli ed Ermanna Montanari.
Musiche come sempre coinvolgenti di Luigi Ceccarelli con Giacomo Piermatti e Vincenzo Core e con Valerio Cugini, Giovanni Tancredi, Andrea Veneri allievi della scuola di Musica Elettronica del Conservatorio Statale di Musica Ottorino Respighi di Latina, con gli allievi della scuola di Percussione dello stesso Conservatorio Statale di Musica Ottorino Respighi di Latina e con la partecipazione di Simone Marzocchi.
Regia del suono di Marco Olivieri, disegno luci di Fabio Sajiz, direzione tecnica di Enrico Isola e di Fagio.
Una coproduzione Ravenna Festival/Teatro Alighieri e Fondazione Matera-Basilicata 2019 in collaborazione con Teatro delle Albe/Ravenna Teatro.
Virgilio è ora ritornato sui suoi passi e la Donna dello Schermo attende. L'appuntamento è per il 2021.