Quinto e ultimo appuntamento della XXIV “Rassegna di Drammaturgia Contemporanea” curata dal Teatro Nazionale di Genova, è in scena questa drammaturgia, inquieta e inquietante, del siriano Wael Qadour da tempo rifugiato politico in Francia. È una drammaturgia, intuita e concepita già dal 2013 ma che ha assunto una versione definitiva solo nell'esordio del 2018, costruita come una matrioska, su una stratificazione e incorporazione di suggestioni apparentemente lontane, da Schubert a Schiele, ma come riconciliate e rese coerenti dal riferimento drammaturgico a “La Morte e la fanciulla” del cileno Ariel Dorfman, oggetto anche di una famosa versione cinematografica di Roman Polanski. In una Siria travolta da una ennesima rivolta e straziata e dissipata tra repressione e integralismi, un
giovane regista cerca, con inattuale e ironicamente singolare progetto, di mettere in scena appunto quella piéce sudamericana, lontana forse ma resa così vicina dalle analoghe condivisioni storiche, quasi che fosse l'ultima possibilità per dare ordine e comprensione a quello che stava succedendo al suo paese e alla sua vita.
Teatro nel teatro dunque, o meglio fiducia nella capacità del teatro di svelare la vita e le sue colpe, quasi una riproposizione dell'intento di Amleto e della sua compagnia di girovaghi, la rappresentazione deve dunque svelare la verità sia del teatro che della storia, deve essere capace di “dire” ciò che il fragore delle bombe e la violenza della guerra, impedisce, con la sua stessa sopraffazione e anche con la sua banalità, di “dire”.
Tutto ruota così intorno ad un equivoco e ad una domanda: chi sono i protagonisti, chi vive nel qui e ora del palcoscenico, la giovane sudamericana Paulina che riconosce dopo anni il suo carceriere e vuole farlo confessare e condannare, oppure la coppia di attori che, insieme al regista, dovrà forse fuggire dal suo paese in guerra dopo e a causa di quella rappresentazione?
Ovvero sono realtà solo il giovane che non vuole combattere e il vecchio militare già caduto in disgrazia, che non sa opporsi al 'richiamo' delle armi e del sangue, anch'essi sollecitati ad ambigue confessioni?.
Piani diversi, dunque, narrativamente, drammaturgicamente e anche sintatticamente, ciascuno chiamato a giustificarsi nell'altro, dall'altro invitato ad un giudizio che appare impossibile, nella continua remissione e rinvio della condanna. Una sospensione tragica e dolorosa celata nell'impossibilità di certificare un colpevole.
Anche questo un testo interessante, proposto nella traduzione di Daniela Potenza e per la bella regia di Simone Toni, che nel ribaltamento- sovrapposizione e commistione di platea e palcoscenico dà visiva ragione della stratificazione dei piani significativi.
In scena Andreapietro Anselmi, Melania Genna, Aldo Ottobrino, Roberto Serpi e Kabir Tavani, chiamati tutti a una prova non facile che superano bene.
Dal 26 giugno al 6 luglio alla Piccola Corte. Applaudita con convinzione.