Talora la poesia è costruita su un conflitto che lei stessa, e per sua stessa essenziale natura, smaschera e rappresenta, il conflitto tra la parola ed il suo significato e quindi il conflitto, quello essenziale e profondo in ogni essere umano, tra il procedere della vita ed il suo senso, sempre più sfuggente in una contemporaneità acerba e inconsapevole. Anche questo, come ogni conflitto, ha bisogno di un suo campo di battaglia, di uno spazio aperto in cui dispiegarsi e dissolversi, e qui il campo di battaglia è il linguaggio, qui lo spazio che si apre è il nostro improvviso e inaspettato sorprenderci di fronte alla povertà della parola che sembra incapace di contenerci e di dare piena ragione di noi stessi. In proposito uno dei più sinceri esegeti di Guido Gozzano, cui come noto dobbiamo l'omonimo
poemetto, e cioè Edoardo Sanguineti, aveva appunto intuito come lui per primo avesse percepito l'affanno di ogni discorso aulico o d'annunziano, prigioniero in fondo di un mondo piccolo-borghese gretto ed economico.
Era una percezione intima che declinava quella tipica malinconia che si traveste di indifferenza, mentre scandaglia la sincerità dei moti e la profondità delle eco interiori che ancora si riflettevano nel ritmo pallido dei versi e dei motteggi apparentemente giocosi.
Agendo su questo spazio i drammaturghi del torinese, come Gozzano, Teatro della Caduta hanno potuto dispiegare sulla scena, nei ritmi specifici della rappresentazione, questo poemetto intimo, ricostruendo in piena fedeltà i ritmi della narrazione che quei versi celano, la narrazione di un equivoco e di un abbandono, in cui il poeta negando sé stesso sembra quasi giustificare la sua insufficienza a capire e ad essere capito:
“ed io fui l’uomo d’altri tempi, un buono
sentimentale giovine romantico....
Quello che fingo d’essere e non sono!”
È stato come rendere a tre dimensioni un quadro ottocentesco, così da esplicitarne i movimenti interni, i conflitti e i desideri, la vita e la morte singolarmente vissuta e collettivamente elaborata, senza uscire dai confini fedeli di quella narrazione ma mostrandone la straordinaria e sorprendente modernità, quella modernità che Gozzano aveva dovuto 'sopportare' contro lo spirito dei tempi, come avrebbe suggerito Nietzche.
Un ottima drammaturgia per uno spettacolo coinvolgente e commovente che ridà a quelle parole ritmate la vita perduta, il senso dimenticato, allora forse inattuale ma oggi così evidente.
Bravissimi i due protagonisti, già apprezzati in altre loro prove, capaci di sostenere quella che non è una riduzione per la scena ma una vera e propria traslazione e deformazione drammatica del poemetto gozzaniano, oltre le sterili secche della cosiddetta 'rilettura'. Non un teatro di narrazione ma un vero e proprio teatro di rappresentazione.
In particolare Lorena Senestro è una Signorina Felicita talmente sincera da apparire trasfigurata, capace di transitare dall'ironia alla nostalgia mantenendo il filo rosso di uno sguardo intimo e prossimo verso chi, da quella lontananza, non è più tornato.
Con lei percorre, avanti e indietro, lo spazio di quella stessa lontananza, ben veicolata dalla musica d'epoca, Andrea Gattico, padre, papà, papi e musicista in scena.
Una produzione del “Teatro la Caduta” di Torino per la regia di Massimo Betti Merlin.
Il 12 luglio in piazzetta San Matteo a Genova per la XXII edizione del Festival “In una notte d'estate” di Lunaria Teatro, che quest'anno, come ha ricordato nell'introduzione allo spettacolo la sua direttrice artistica Daniela Ardini, non può che arricchirsi delle suggestioni del cinquantesimo anniversario della conquista del nostro satellite, come suggeriscono il nome e ancor di più il sotto-titolo dell'evento che è “Percorsi sulla Luna”. Suggestioni che arricchiscono una già importante programmazione.