In attesa del ritorno a Napoli durante la stagione teatrale 2019/2020 e dopo il successo ottenuto quest’anno al festival “Primavera dei Teatri” di Castrovillari con “Patruni e Sutta”, la compagnia CARULLO-MINASI approda a Catania, all’interno della rassegna teatrale ESTATE CASTELLO URSINO, prodotta dal Teatro Stabile di Catania, in collaborazione con il comune. La compagnia, fondata da Giuseppe Carullo e Cristiana Minasi, vanta numerosi premi, ottenuti nel corso degli anni dopo il fortunato debutto di DUE PASSI SONO, nel 2011. Questa volta i due compagni di vita e di scena si cimentano, dal 6 al 18 luglio, nella regia di un testo di Piermaria Rosso di San Secondo, autore siciliano di inizio Novecento, la cui scrittura e poetica appaiono affini al percorso intrapreso da Pirandello. Lo Stabile di Catania affida, dunque, questo progetto alla compagnia che vede Cristiana e Giuseppe anche in scena, nei panni di due principali personaggi previsti nel testo originario;
quest’ultimo riporta la data del 1917 e si colloca all’interno di un discorso novecentesco molto importante e complesso. Sebbene l’apparente natura delle storie narrate sembri avere una caratterizzazione legata al dramma borghese e alla società del tempo, in realtà l’analisi introspettiva dei personaggi fa emergere prepotentemente un reticolato di sentimenti e di comportamenti che necessitano di una veste grottesca per condurre il pubblico al sorriso e, quindi, alla comprensione del messaggio. Il titolo riportato dall’autore sembra una didascalia da film muto, elemento ripreso anche dalla regia firmata dai Carullo-Minasi e utilizzato in scena attraverso le targhette appese al collo dei personaggi, per indicarne non il nome bensì la funzione scenica, e i cartelli posti sul proscenio e modificati ad ogni cambio scena, come avveniva nelle prime pellicole cinematografiche per descrivere il luogo e l’azione. Anche le lunghe didascalie, presenti nel testo originario, sono riportate in scena, sebbene in forma ridotta o in numero limitato, ed utilizzate come vere e proprie battute affidate ad alcuni personaggi. L’intero testo di Rosso di San Secondo è riportato dai Carullo-Minasi quasi in versione integrale e soprattutto nelle sue parti più importanti: non possiamo, quindi, parlare di rimaneggiamento, ma di recupero e snellimento di un testo di inizio novecento che potrebbe apparire eccentrico e obsoleto per alcuni aspetti. La lingua utilizzata, infatti, sembra a tratti quella originale, con evidenti arcaismi che, però, in questa versione, giocano a favore del grottesco e della buffa caratterizzazione dei personaggi. Quelli minori sono stati eliminati o resi, in alcuni casi, popolari e linguisticamente “regionali”, sebbene essi siano connotati, sia nel testo originario che nel lavoro scenico, da una funzione predominante e di notevole supporto ai quattro personaggi principali: La Signora dalla volpe azzurra (Cristiana Minasi), il Signore in grigio (Gianluca Vesale), il Signore a lutto (Giuseppe Carullo), la Cantante (Alessandra Fazzino). Come è evidente, i personaggi non riportano nomi propri, bensì caratterizzazioni dell’animo e delle loro passioni attraverso metafore e colori. Ecco, dunque, il motivo del titolo, attraverso cui l’autore, in un gioco di parole, espone subito i “temi chiave” dell’intero discorso, ossia le passioni che manipolano e sottomettono gli uomini rendendoli delle marionette. Il concetto di “marionetta”, che si diffonde nella cultura teatrale e letteraria del Novecento, si svilupperà all’interno di studi che approfondiranno la vera essenza dell’uomo: dalla super marionetta di Craig che legge l’attore non più come macchina scenica, al super uomo dannunziano, dall’introspezione psicanalitica al concetto di uomo-marionetta sottoposto ai totalitarismi culturali e politici. L’autore siciliano, in questo caso, osserva la società borghese e ambienta il suo racconto a Milano, sempre in interni, dalla sala telegrafo, alla stanza in affitto della cantante, fino all’interno di un ristorante. Lo spettacolo si apre con un’accurata descrizione della sala del telegrafo, luogo comune in cui si raccolgono alcuni “tipi” specifici della società del tempo, dal signore in giacca, alla cantante, all’attrice, alla coppia di novelli sposi, agli operai, alla stessa guardia. Da questo ambiente si dipanano i fili delle vite di ciascun personaggio che si intersecano, improvvisamente e quasi involontariamente, nel corso del racconto. Le marionette della vita, quelle che si incontrano tutti i giorni, sono manovrate da un grande marionettista – non a caso è utilizzato il termine “marionetta” per indicare il fantoccio manovrato attraverso fili dall’alto, a differenza del burattino – che per Rosso di San Secondo rappresenta la passione. Soprattutto quella amorosa sembra generare un risvolto costantemente negativo, che la trasforma in ossessione, possesso e addirittura morte, utilizzando anche il termine “giogo” per indicare l’oppressione psicologica a cui sono sottoposti questi personaggi. Il grottesco che ritroviamo anche in Pirandello, generato attraverso il suo concetto di umorismo, qui sembra ancor più accentuato e più funebre. La compagnia Carullo-Minasi coglie a pieno la volontà originaria, senza, però, soffermarsi unicamente sul concetto di “passione” dominatrice degli animi, ma facendo emergere – come si afferma anche nelle note di regia – la ricerca costante di un’identità e dell’amore. I personaggi vestono dei panni ben definiti, ma anche la svestizione, e poi la vestizione, rappresentano delle azioni che li spingono continuamente verso la ricerca della comprensione della propria identità e di ciò che desiderano realmente. L’indecisione di queste “marionette” è evidente attraverso l’escamotage del telegramma o la confusione psicologica che spesso affermano di provare: nessuno dei personaggi principali riuscirà a scrivere o ad inviare un telegramma, a differenza dei personaggi minori che si avvicendano nella sala del telegrafo e concludono velocemente la loro azione. Non a caso i personaggi minori non appartengono al mondo borghese: la cristi di identità di una specifica classe sociale sembra colpirla attraverso il difetto di comunicazione delle proprie passioni, patologia non lontana da quella da cui è affetta la società odierna. Il Signore in grigio ammonisce la Signora dalla volpe azzurra e il Signore a lutto, i quali, colpiti dalla disperazione amorosa perché abbandonati o sfuggiti ai rispettivi partner, decidono di unirsi, senza grande convinzione, in una coppia nata da passione disperata. Il Signore in grigio non trattiene le sue passioni improvvise per la cantante e quest’ultima rifugge le passioni per gli uomini, poiché già colpita negativamente in passato, dimostrando solo la sua passione per l’arte. La scelta registica prevede che i personaggi minori siano ridotti nelle loro funzioni rispetto al testo originario, esasperando invece l’azione dei cosiddetti servi di scena, dalle ballerine alla guardia del telegrafo, dal cameriere agli sposi o agli operai, tutti interpretati da Ciccio Natoli e da Manuela Ventura, quest’ultima, insieme ad Alessandra Fazzino, degna di nota per la straordinaria interpretazione e per la versatilità. Carullo-Minasi scelgono di utilizzare sulla scena tre praticabili mobili che saranno scomposti e ricomposti ripetutamente per realizzare pareti, corridoi, tavoli, il tutto attraverso scelte registiche geniali, apprezzate anche dal pubblico. In particolare, la prima scena prevede la presenza di una guardia della sala del telegrafo, interpretata ancora una volta da Manuela Ventura, quest’ultima “appesa” come una marionetta attraverso un gancio ad uno dei praticabili: immagine memore del famoso romanzo collodiano o delle molteplici versioni filmiche della storia di Pinocchio. I personaggi, dunque, si vestono e si svestono, vivendo le loro passioni deleterie e cercando la loro identità, come se si fossero appena sganciati da quelle assi e fossero stati collocati sul palcoscenico per il piacere del pubblico, proprio come in un teatro dei pupi. È evidente la connessione tra la maschera pirandelliana e la ricerca di identità di questi personaggi, che citano spesso il teatro, ribadendo la finzione e l’indecisione negli atteggiamenti e nei sentimenti come se recitassero. La regia prevede, inoltre, un continuo rapporto meta teatrale con gli spettatori, sia verbale che fisico, oltre ad un’accelerazione costante dell’intero racconto scenico e un’assenza delle declamate pause e dei silenzi che lo stesso autore aveva indicato nelle didascalie. L’impatto è quello di un vortice che confonde e coinvolge tutti, nessuno escluso.
Foto di Antonio Parrinello
Marionette, che passione
Catania Castello Ursino
6-18 luglio 2019
di Piermaria Rosso di San Secondo
adattamento e regia Giuseppe Carullo e Cristiana Minasi
con Giuseppe Carullo, Cristiana Minasi, Gianluca Cesale, Manuela Ventura, Alessandra Fazzino, Ciccio Natoli
Scienze e costumi Cinzia Muscolino
Luci Gaetano La Mela
Audio Giuseppe Alì
Regista collaboratore Roberto Bernava
produzione Teatro Stabile di Catania