Che la musica sia una sorta di 'sonda' che ci aiuta a penetrare nell'intimità, conscia o soprattutto inconscia, del nostro esistere e navigare nel tempo è una suggestione, credo, che Andrea Liberovici, figlio d'arte, coltiva con continuità e partecipazione. Con questo suo ultimo lavoro, intenso e stratificato come in poche altre recenti occasioni, la sonda diventa una sorta di guida che illumina e discerne, razionalmente e affettivamente, mentre costruisce il suo percorso scenico. Trilogy in Two, vera e propria drammaturgia del suono, è un'opera moderna, un'opera mosaico come la definisce l'autore, che condivide, dentro la sapienza contemporanea del moderno librettista, linguaggi plurimi, segnici e simbolici assieme, su cui la musica definisce il senso si sé e, attraverso questo, nuovi significati nella soggettività e nella condivisione. È una musica, sapientemente allieva delle più moderne dissociazioni armoniche, condivise nei sussulti ritmici che rimandano suggestivamente al Rap, che dialoga
prima con la scena e poi con una platea liberata dai consueti vincoli della rappresentazione.
La drammaturgia partecipa e ne asseconda il percorso, man mano svincolandosi da qualche rigidità e ansia razionalizzante nel confronto, che potremmo definire 'intimidatorio', con il Goethe di Faust e
Wilhelm Meister, soprattutto nella seconda parte quando riesce ad affondare con spontaneità in un tessuto affettivo che così la sostanzia e la invera.
La musica dunque, e la parola che la accompagna, come saggio 'traduttore' della bellezza quando questa è illusione e sogno, ovvero partecipazione e solidarietà ed infine radice del nostro esserci e del nostro capirci.
È uno spettacolo di valore, segno di una più consapevole maturità creativa e artistica di Andrea Liberovici, capace di fondere con coerenza sintassi sonore e sintassi figurative in un insieme scenico complesso che condivide, in un confronto serrato, l'orchestra e la produzione di suoni, il video ed il canto.
Helga Davis, che ne è protagonista, dimostra ancora una volta grandi qualità di canto ed insieme una sapienza scenica indubbia nella gestione del corpo che quasi si sostiene in metamorfosi nel movimento musicale. Bravissimi anche i giovani professori di orchestra e i due percussionisti che l'accompagnano. Inevitabile e coerente l'associazione suggerita, che porta alle ricerche musicali e vocali di Luciano Berio e Cathy Berberian.
Produzione Teatro Nazionale di Genova, Fondazione i Teatri/Festival Aperto Reggio Emilia, Schallfeld Ensemble Graz. Musica, libretto, video, regia Andrea Liberovici. Direzione musicale Sara Caneva. Interpreti Helga Davis, Lorenzo Derinni / Jacob Hernandez violino, Paolo Fumagalli / Francesca Piccioni viola, Myriam Garcia violoncello, Chiara Percivati clarinetto e clarinetto basso, Margarethe Maierhofer Loschka contrabbasso, Manuel Arcaraz percussioni, Spela Mastnak percussioni e con l’amichevole partecipazione in voce di Robert Wilson narratore nell’ombra e Ennio Ranaboldo ghost-writer.
Luci Davide Riccardi. Ingegnere del suono Lorenzo Patella. Direttore di scena Fabrizio De Sanctis. Tecnico video Luca Serra. Assistente alla messinscena Irene Novello. Video e editing Andrea Liberovici. Sovratitoli Michele Giuseppone. Contributi video Faust's Box: Controluce Teatro d’Ombre; Matco graphic video Come to Come; M.e.p.h.i.s.t.o. suite: Jeffrey Zeigler cello recorded. Florence: tableau vivant elettroacustico: Jeffrey Zeigler cello recorded – GRM, Paris; disegni di Cristiano Baricelli. MADRIGAL FOR NONE ROOMS: immagini e video Casa della Gioconda – Venezia; acquerelli di G.Morelli – collezione privata; marionette del Gran Teatrino la Fede delle Femmine; stop motion, operatore Michele Giuseppone; after affect Luca Fiorato; foto Paolo Porto.
Dopo l'anteprima a Reggio Emilia, in esordio al teatro Duse di Genova dal 22 al 30 ottobre. È uno spettacolo innovativo, che richiede attenzione e partecipazione e che merita un pubblico disposto ad accettare il confronto con linguaggi più complessi e tuttavia più profondi. I presenti hanno applaudito a lungo e con convinzione.
Foto Alfredo Anceschi