Quando parliamo della morte è, quasi sempre un parlare d'altro come se, imprigionata nella sua sintassi apotropaica, la morte non fosse un accadimento che ci attende e comunque ci circonda dentro e fuori affetti e relazione, ma una occasione da travestire e coprire con le sue esigenze organizzative, ovvero con la realizzazione di una vendetta, la costruzione o la distruzione di una prigione che ci ha chiuso per anni, dunque sempre e comunque come una attesa/assenza da elaborare in un orizzonte da allontanare. Questa commedia nera della scrittrice svizzera francofona Emanuelle Delle Piane, inusuale in questi tempi sui nostri palcoscenici o sui nostri schermi, in nove quadri che costituiscono un mosaico che man mano si compone sulla scena, ci pone di fronte a questo nostro modo di essere davanti alla morte, a questo nostro, mi si perdoni il paradosso, contemporaneo vivere la morte. Più grottesca che ironica, con suggestioni da teatro dell'assurdo vissute con la naturalezza del
comune percepire, compone un po' alla volta la morte stessa come uno specchio in cui si proiettano le nostre debolezze e le nostre manchevolezze, anaffettività, odio, disinteresse, avarizia o amore per il denaro, voglia di essere sempre e comunque altrove, a fare altro.
Uno specchio che non si rompe mai perché ci appartiene.
Bergsonianamente il riso è lo strumento che ci consente di gestire e di sopportare, nella sintassi drammaturgica e nel transito scenico, il peso di questo inevitabile ma ineludibilmente umano accadere e finire, perché, come scrisse il filosofo francese “non vi è nulla di comico al di fuori di ciò che è propriamente umano”.
Nove quadri dunque, tra cimiteri, sale di cremazione, ospedali e ultime dimore a ricomporre un pensiero ed una narrazione unitarie nei suoi molteplici e profondi riflessi.
Si tratta della nuova versione di uno spettacolo già messo in scena e da noi recensito al Teatro della Tosse qualche anno fa con altra regia. Oggi è presentato nella traduzione di Gianni Poli e Marco Cappelletti e per la regia di Emanuele Conte.
Più meditativo rispetto al precedente, colorato e dinamico, con suggestioni gotiche ed una sintassi cabarettistica, con le musiche, sorta di fil rouge, e le canzoni in scena del pianista Fabio Wolf, ricorda talora, nella accurata regia, atmosfere weimariane.
Bravi gli interpreti Alessandro Bergallo, Susanna Gozzetti, Sarah Pesca, presente anche nella precedente edizione, e Graziano Sirressi. Assistente alla regia Alessio Aronne.
Alla sala Campana del Teatro della Tosse, in prima nazionale dopo il pre-esordio al Teatro del Ponente di Genova Voltri, dal 18 al 22 dicembre, presente la drammaturga e uno dei traduttori. Molto applaudito.
Foto Donato Aquaro