La narrazione di William Gibson è tra le più popolari al mondo, popolarità tra l'altro premiata dall'eccellente film di Arthur Penn, sceneggiato dallo stesso autore, con Anne Bancroft e Patty Duke, nonché, per l'Italia, da un altrettanto famoso sceneggiato televisivo con Anna Proclemer e Cinzia De Carolis. Una storia vera, straordinaria e straordinariamente drammaturgica, dai risvolti talmente noti da aver assunto nel tempo un carattere quasi idiomatico, retoricamente parlando, che nella singola immagine soggettiva riassume il tutto di sentimenti universali, ancora forti oltre la banalità superficiale di una società dell'apparenza, dal sottile spessore spirituale, ricca di spiritualismo e povera di spiritualità, intrisa di sentimentalismo politicamente corretto e scarsa di sentimento. Tutto questo poteva essere un ostacolo al recupero dell'intensità drammatica e drammaturgica della vicenda, a rischio di inciampare in retorica televisiva, ma la riduzione e l'adattamento di Emanuela Giordano, che cura anche la regia dello spettacolo portato in scena, ha saputo nella brevità e secchezza del transito scenico, sfrondato di ogni orpello narrativo novecentesco, recuperarne gli snodi essenziali, costringendo quasi lo
spettatore a guardarne il senso profondo e a rispecchiarsi, finalmente, in esso. Esempio raro della forza catartica e commovente del teatro, quando è buon teatro.
In una scena mobile, dal grigiore neutrale come il mondo che ci circonda, quattro figure sviluppano, anche loro malgrado, una fitta rete di relazioni e di rimandi reciproci che hanno come unico vero motore un'amore che cerca i modi giusti per esprimersi e per realizzarsi, portando a compimento e trasfigurando quella piccola, occasionale comunità umana.
Helen, giovane e disperata sordo-cieca, il padre, la madre, e Anna l'insegnante che viene e si riscatta da una storia altrettanto disperata di abbandono, sono gli ingranaggi consapevoli di un meccanismo che, con fatica e dolore, si mette in moto e li conduce fuori, alla luce.
Pochi momenti sono più universali di questa storia così particolare e singolare, rara se vogliamo, perché in fondo, dentro di noi vivono, insieme, una Anna ed una Helen, una parte che ha bisogno di aiuto e una parte che vuole dare aiuto, parti che sembrano incontrarsi sempre più occasionalmente eppure così essenziali e costitutive della nostra identità.
La bella drammaturgia, dunque, seleziona dalla storia e ci propone una idea della nostra identità e un incontro con i nostri sentimenti che, pur nascosti da correnti e ricorrenti banalità, rimangono necessari ed anche desiderati e cercati nella odierna cecità, epoca di tweet e di sms che calmano la coscienza inquieta.
Il vero entusiasmo del pubblico e la partecipazione che ha portato a svariati richiami in scena ne è stata l'evidenza.
Ottima la prova degli attori, in particolare di Mascia Musy che è Anna e Anna Malamaci molto intensa nella sua interpretazione di Helen, personaggio straordinariamente ricco di riflessi e suggestioni, ma anche quella di Fabrizio Coniglio e Laura Nardi.
Scene e luci d Angelo Linzalata. Costumi di Emanuela Giordano. Musiche di Carmine Iuvone e Tommaso Di Giulio.
Una produzione del Teatro Franco Parenti per l'Associazione Lega del Filo d'Oro (che come noto di assistenza ai sordo ciechi encomiabilmente si occupa), ospite del Teatro nazionale di Genova al teatro Duse dal 9 al 12 gennaio.
Foto Margherita Mirabella