La mia biografia, come tutte le biografie, sottolinea i successi ed elude del tutto ciò di cui non ho chiarezza. Quale è stato il momento esatto in cui ho fatto incontrare scrittura e teatro? Non lo so, e forse è per questo che non riesco a dirmi
drammaturga e preferisco parlare di me come autrice. E allora, ringrazio Maria Dolores Pesce per avermi invitato a riflettere e, quindi, a rispondere a questa domanda (se non del tutto, almeno in parte).
C’è una foto in cui ci sono io, piccolina, ho un naso di cartone (lungo quanto deve essere il naso di Pinocchio) e me ne sto impettita tra i banchi di una scuola elementare. Mia madre ricorda che avevo letto dei brevi testi teatrali e li avevo proposti alla maestra.
Ero così convinta - e così convincente – che ne avevamo fatto una recita.
Al mio primo laboratorio, mi sono presentata arrivando in bicicletta.
Il più giovane dei partecipanti aveva vent’anni più di me.
Quanti anni hai? Mi hanno chiesto. Dieci, ho risposto. Qui sono tutti più grandi, vuoi farlo lo stesso?
Certo.
Nel tempo sono stata un clown triste a cui cadevano i pantaloni, un’Ismene piuttosto acerba, un’Ecuba improbabile e un folletto con rami attaccati alle dita.
È cominciata così, tra me e il teatro. Facendolo.
Non ne sapevo quasi niente.
Del primo spettacolo che ho visto non ricordo nulla, se non le perle di mia nonna e l’interminabile silenzio prima dell’inizio.
Era pieno di parole.
E le parole mi sono sempre piaciute.
Scrivevo dappertutto e in qualunque momento.
Scrivevo sull’autobus, a letto, sul divano, al tavolo della cucina prima di mangiare. Nella mia vita ho consumato tantissimi quaderni e fatto esplodere computer con le parole.
Ho scritto così tanto, e parlato così poco, che mi sembra di pensare con la punteggiatura. Tipografia del pensiero.
A diciotto anni, tento di entrare in Paolo Grassi come attrice. Non mi selezionano. Scrivo. Studio Filosofia, scrivo. Cambio casa, lavoro, e poi, di nuovo, casa. Scrivo. Lascio l’università, scrivo. Entro in Accademia come regista.
Scrivo sempre.
Inizio a lavorare, collaboro con Teatro i a Milano. Non lo conosco, lo intercetto perché organizzano un convegno in Accademia: Il teatro nascosto nella forma romanzo. Perfetto, quello che voglio: parole e teatro.
L’intuizione è giusta. Rimango.
Ho ventitré anni.
Assistente alla regia, regista, attrice, dramaturg. Poi socia e parte della direzione artistica con Renzo Martinelli e Federica Fracassi.
Fare teatro vuol dire molte cose, scopro. E cerco di farne il più possibile.
Ho meno tempo per scrivere, questo è vero. Ma scrivo comunque.
Nel 2010 arriva il mio primo testo teatrale, N.N. – Figli di nessuno.
E io imparo che per scrivere teatro bisogna essere precisi. Non si può fare tutto, mi dicono. Ci sono molti limiti e molte definizioni: il conflitto, l’azione teatrale, la credibilità, i personaggi... È un recinto, e in quel recinto, a volte largo, a volte stretto, ti devi muovere.
Però, io, i recinti li temo. E i confini mi fanno paura. In fondo, sono solo una teatrante prestata alla scrittura (oppure un’amante delle parole prestata al teatro) e la drammaturgia non l’ho studiata: fatico a rispettarne le regole.
Infatti, il mio primo lettore mi riconsegna il testo pieno di segni rossi e blu, come a scuola (questo non si può, questo non si fa). Il secondo lettore dice: non essere presuntuosa.
E il terzo mi crede solo un po’.
Il quarto, invece, traduce il testo in francese.
Ed io inizio una avventura, anche internazionale, che continua ancora adesso.
Per molto tempo teatro e scrittura, hanno viaggiato su linee parallele, coesistenti ma del tutto separate. Non si sono scambiati una parola né una stretta di mano.
Poi, improvvisamente, li ho trovati nello stesso posto: in me.
Spesso, durante le prove, gli attori e il regista chiedono agli autori il significato, il senso o l’intenzione di un particolare passaggio del testo.
Ho scoperto, partecipando alla messinscena del mio lavoro, che difficilmente ho delle risposte univoche e che, se le ho, quasi sempre non ho voglia di dirle.
Quello che mi interessa è lo spazio di libertà che si apre tra carta e palcoscenico. E tra palcoscenico e platea.
Le mie parole diventano parole teatrali solo attraverso un percorso di cui non ho del tutto coscienza e che non posso e non voglio prevedere. Un percorso che si compone man mano, una sorta di processo di “traduzione” che trasforma quello che scrivo e lo ridetermina, attraverso la visione di un regista, le voci e i corpi degli interpreti e, soprattutto, lo sguardo degli spettatori.
E il mio spettatore ideale, in fondo, è un cattivo spettatore: indisciplinato, volubile, incostante, esigente, allergico ai confini. Come io sono. Uno spettatore che cerca, cerca sempre, al di là dello spettacolo e al di là di me.
La forma teatrale è un mezzo, non è il mio fine.
Il mio obiettivo è solo chi guarda. È a lui che mi rivolgo quando scrivo: l’altro da me, ignoto e straniero.
Con lui voglio che accada il primo e più importante dialogo dei miei testi.
Per questo, cerco le parole con cura.
Biografia
Francesca Garolla studia Filosofia e si diploma in regia all’Accademia d’arte drammatica Paolo Grassi.
Dal 2004 collabora con Teatro i, partecipando alle principali produzioni come interprete, dramaturg e autrice, diventando parte della direzione artistica e socia del teatro.
Parallelamente a questo progetto culturale sviluppa un forte interesse per la ricerca e un autonomo percorso autorale.
Accolta più volte in residenza a La Chartreuse – Centre National des écritures du spectacle di Avignone, tra il 2016 ed il 2017 scrive Tu es libre, tradotto in con il contributo della Maison Antoine Vitez e presentato all'interno dei Rencontres d'été durante il Festival d'Avignone 2017, segnalato da la Comédie Française come uno dei testi più significativi della stagione 2017/2018 e finalista al Premio Riccione 2017.
Tutti i suoi testi sono tradotti in francese ed è attualmente autrice selezionata nel progetto europeo Fabulamundi – Beyond Borders? grazie al quale ha viaggiato e lavorato in Spagna, Romania, Repubblica Ceca e Inghilterra.
Nel 2020 è l’unica autrice europea selezionata per la sezione di scrittura creativa alla Cité Internationale des Arts di Parigi.
Foto di Laila Pozzo