È un po' e in un certo senso un ritorno all'antico, imposto certo ma sempre produttivo ed efficace, con la platea al centro, là in basso, circondata da tre file di pubblico che dai palchetti dell'ottocentesco teatro Gustavo Modena di Genova Sampierdarena (ovviamente e facilmente distanziati nel rispetto delle norme e nella tutela di tutti) assistono e ascoltano, paradossalmente più vicini del consueto e come pronti a precipitarsi nell'evento scenico. Orchestra di un antico teatro greco, o spazio al centro e circondato dell'edificio teatrale elisabettiano, qualunque cosa ricordi, ha accolto la prima drammaturgia della Rassegna di drammaturgia contemporanea che ogni anno il Teatro Nazionale di Genova propone agli spettatori a fine stagione, ma che quest'anno sembra inaugurarne una nuova di stagione, dopo la lunga chiusura, che non a caso titola “Ritrovarci! Lo spettacolo più bello”. Un dramma minimale e purtroppo consueto nel nostro tempo incerto che ha dimenticato la dignità di tanti esclusi, poveri e nuovi poveri, lavoratori precari incapaci ormai anche di sognare un futuro diverso, coerenti loro malgrado a valori che li escludono. Un piccolo dramma, nelle tonalità e con la sintassi di
una commedia, che coinvolge due donne che si guadagnano (poco) da vivere lavorando come badanti di un pensionato alla periferia di una qualunque cittadina dell'Irlanda del Nord, sommando così su di sé molteplici esclusioni e sofferenze, a partire da una condizione femminile priva di prospettive e di risvegli oltre le parole della politica.
Spaccato di un mondo da cui la voglia di vero riscatto appare assente, a stento rintracciabile nel surrogato di un mitico addio al nubilato in quel di Barcellona, in una apatia che coinvolge partner e figli cui si assegna, di default, un analogo destino.
In questo mondo grigio, un evento giunge, come una rottura tragica, a mettere finalmente a prova queste due quarantenni, che sembrano conoscersi a stento. Trovano il vecchio pensionato morto in bagno.
Da quell'evento si scatena e rotola verso un epilogo aperto, sorprendente come in un thriller ma in fondo anche atteso perché già scritto nel suo procedere, l'ansia di non perdere una inaspettata occasione di cambiare, anche a costo di tradire la propria moralità. Ma è un tradimento facile in quel mondo in cui tutto sembra uniforme e nemico, tanto da non potersi aspettare neanche la gratitudine di un vecchio appassionato di Frank Sinatra.
Le note di una sua canzone sospendono la vicenda come in un bel sogno restato però fuori dalla porta.
Una drammaturgia di Marie Jones, nella traduzione di Carlo Sciaccaluga, dalla scrittura forte e dalle molte suggestioni, specchio di una periferia europea molto spesso sorda e lontana.
In una scena spoglia e senza arredi, animata dal gioco delle luci, le brave Alice Arcuri e Eva Cambiale sono Francis e Loretta, divise tra improvvisi entusiasmi e cadute rovinose, forse solo con qualche sottolineatura un po' eccessiva.
Interessante nel suo dinamismo la regia di Carlo Sciaccaluga.
Una produzione del Teatro Nazionale di Genova al teatro Gustavo Modena dall'1/7 all'11/7 per la Rassegna di Drammaturgia Contemporanea.
Contemporaneamente davanti al teatro si svolgeva la manifestazione dei lavoratori del settore, in gran parte precari e non tutelati, che sottolineavano questa “ripartenza falsata” che tanti di loro, i più deboli ma spesso anche i più audaci e innovativi, ancora esclude. Un volantino è stato letto alla fine dello spettacolo a indicare la sensibilità che i Teatri Nazionali, più tutelati e in grado di reggere le restrizioni, devono avere nei loro confronti. È necessario che le Istituzioni tutte, a partire dal governo, se ne facciano finalmente carico impedendo la dispersione di tante risorse creative e culturali di cui abbiamo più che mai bisogno.
Foto Patrizia Lanna