Un terrorista radicalizzato, francese di seconda o terza generazione di origine algerina, barricato nel suo appartamento/covo dopo tre sanguinosi attentati costati la vita a 7 persone, tra cui tre bambini di una scuola ebraica. Siamo a Tolosa nel 2012 e la polizia, che alla fine lo ha individuato, lo assedia. Incaricato della trattativa, per ottenere la sua resa senza spargimento ulteriore di sangue, è un poliziotto anch'esso di origine magrebina, fedele musulmano o almeno così si definisce nel corso del serrato dialogo con l'assediato. Tutto finirà come deve, come è purtroppo scritto nelle decine di episodi come questo che hanno scosso la Francia e l'Europa. Un evento reale dunque e una drammaturgia, frutto della penna e della sensibilità del franco algerino Mohamed Kacimi, che basandosi e ricomponendosi a partire dalle trascrizioni sonore delle trattative stesse, in parte riproposte anche in originale, ripercorre la sintassi di un teatro inchiesta, legato ad un evento reale di cronaca che
colpisce tuttora e ferisce nella profondità della nostra percezione del tempo contemporaneo. Però anche e soprattutto una drammaturgia che, a partire da quella cronaca, va oltre e la supera tratteggiando una condizione esistenziale contemporanea che si confonde e si sovrappone tra comunità, ceti e classi diverse, avendo però come comune denominatore il disagio di una Società che ha perso cultura e valori, rischiando anche di perdere una intera generazione.
Ci parla dunque, più che di un esserci sociale o politico, di un esserci esistenziale di molti giovani che hanno perso i principali riferimenti, nella famiglia, nella scuola e anche nella capacità della cultura di fornire strumenti di conoscenza e dunque di giudizio, ed una scala di valori che possono diventare una etica.
E ci parla anche, tra le righe di una narrazione quasi gridata, della stanchezza di una collettività incapace di percepire e intercettare la sua decadenza, incapacità simbolicamente rappresentata nel fatto che per ben due volte questo giovane poteva essere fermato prima delle stragi, come forse lui stesso desiderava.
Colpisce in questo giovane terrorista, entrato e uscito di galera e alla perenne ricerca di qualcosa che non trova, la sovrapposizione tra mondo reale e mondo virtuale, tra obiettivi vittime in carne ed ossa (tragicamente) e livelli di un videogioco che lo trascina e quasi lo trascende.
In questa condizione di abbandono e di sbando, che appunto colpisce nell'opulento occidente in particolare le nuove generazioni, ciascuno cerca di ricostruire una propria realtà aggrappandosi qua e là, alla memoria o ai feticci di una identità antica innanzitutto tradita dai loro padri.
Una identità che per molti di questi nuovi cittadini è religiosa ma di una religione priva ormai di trascendenza, che sembra dover garantire un perduto paradiso di benessere.
Forse le stesse polemiche che hanno accompagnato nel 2017 l'esordio in Francia di questa drammaturgia, accusata di essere troppo tenera con l'autore di tante stragi, nasconde anche un disagio più grande e la difficoltà di articolare e prendere coscienza di una condizione che non può essere limitata a quegli episodi e a quelle persone.
Una drammaturgia dunque che non offre conforto o facili sentenze, che non copre false coscienze, veloce e tagliente, talora ironica, senza spazio per drammatizzazioni eccessive.
La regia ne coglie opportunamente l'intensità e anche l'affanno di una situazione in continuo movimento. I due giovani protagonisti si mostrano all'altezza di una prova non facile.
Produzione Teatro Nazionale di Genova. Traduzione e regia di Barbara Alesse. Interpreti: Lorenzo Satta e Alessio Zirulia. Luci di Aldo Mantovani. Suoni di Edoardo Ambrosio. Secondo appuntamento della Rassegna di Drammaturgia contemporanea 2020 del Teatro Nazionale di Genova, alla Sala Mercato di Genova Sampierdarena dall'8 al 18 luglio.