Elena la fascinatrice, Elena la traditrice, Elena l'amata, Elena l'odiata, Elena la “mutaforme”, Elena distruttrice di uomini e di flotte e per la quale “achei e troiani sopportano diuturne fatiche”. Ma non è questa la Elena che Elisabetta Pozzi porta in scena, traslandola dal bellissimo poemetto di Ghiannis Ritsos nella efficace e musicale traduzione di Nicola Crocetti, bensì è una Elena tout court che, resistendo al tempo e al mito che l'ha determinata, perdendosi ha finalmente ritrovato se stessa. È dunque in scena Elena uscita dal tempo, Elena che il tempo ha sconfitto alle soglie della morte, è infine colei che al tempo ha resistito e persiste nonostante tutto, non più vicenda che si racconta ma infine sentimento essenziale che supera il suo stesso mito paradossalmente e ironicamente inverandolo. Può guardarsi e può guardare il passato perché è altra, diversa e insieme fedele a se stessa. Nelle sue parole tornano, come residui di un naufragio, i suoi amori e gli uomini che li hanno
interpretati o contrastati, Paride e Menelao, Ettore e Agamennone, Ulisse in viaggio, ma nomi e vite si sovrappongono in qualcosa che ormai sta tra l'oblio ed il rimpianto.
Il presente di Elena è già un lascito, un testamento, in quel luogo decrepito, una casa o un vecchio cabaret, man mano svuotato dei suoi oggetti e dei suoi stessi protagonisti, mentre una anziana diva si lascia andare al tormento di ancelle a cui, con ironia e malinconia, non cessa di ricordare la sua superiorità, la superiorità di chi ora può fare a meno di tutto.
Il poeta ellenico usa anche qui il mito, di cui quasi condivide lo stesso Dna, per parlare della modernità e così attraversa Elena come fosse un fiume antico da cui trarre le parole e le narrazioni che ci dicano dove siamo, dentro e fuori di noi, parlando della nostra e della sua stessa vita senza mai esplicitamente citarla.
Elisabetta Pozzi, brava e capace di sfumature mimiche e vocali non comuni, rende tutto questo presente, lo porta cioè nella straordinaria sua presenza scenica, dando corpo ad una revisione del mito, riscritto nella moderna sintassi del nostro esserci ed esistere, che è interessante e molto coinvolgente.
La musica di Daniele D'Angelo bravo polistrumentista in scena con lei, dona voce e suono anche a ciò che le parole non dicono o non possono dire.
Un bello spettacolo che rivede e rivive con fedeltà edizioni precedenti, portando anch'esse ad una soglia rinnovata di comprensione.
Uno spettacolo inoltre stranamente coerente con il momento che vive oggi la Società e con essa il teatro, cui la Pozzi fa precedere un breve dialogo con il pubblico, quasi sentisse la necessità di domandarsi, insieme a noi, chi siamo ora, in cosa siamo cambiati e da dove possiamo insieme riprendere il nostro colloquio, il colloquio estetico tra palcoscenico e platea.
Una produzione del Centro Teatrale Bresciano, regia di Andrea Chiodi, con Elisabetta Pozzi, costumi Ilaria Ariemme, disegno luci Marco Grisa, musiche di .Daniele D'Angelo.
Per “T.I.R. Teatro In Rivoluzione”, del Teatro Nazionale di Genova, il 16 agosto in Piazza della Vittoria a Genova.