Esordio inusuale o se vogliamo extra-ordinario per il Teatro Nazionale di Genova che il 29 settembre ha aperto la stagione post-covid riproponendo una regia del suo nuovo Direttore Davide Livermore, una Elena “di” (e non “da” si badi) Euripide già protagonista di grande successo a Siracusa nel 2019 al festival del Dramma Antico. È questa una tragedia assai particolare dell'ultimo tragico greco conosciuto, che ripropone il mito di Elena nella sua meno nota ma più lirica versione, che la vede 'innocente' e trasferita in corpo e anima da Ermes in Egitto per preservarne la purezza, mentre un suo fantasma, una sua ombra, oggi si direbbe un suo replicante, è condotto a Troia da Paride innescando il tragico conflitto di cui Omero è stato insuperato cantore. Una scelta a detta di molti studiosi funzionale a rinnovare il meccanismo della tragedia stessa, dando ad Euripide la possibilità di introdurre nel conflitto rigido che la contraddistingue, elementi di contesto e di intreccio che aprono ad una
maggiore ambiguità ed insieme ad una maggiore dinamicità scenica.
Saranno peraltro elementi di grande successo per gli sviluppi moderni del dramma, dalle grandi commedie elisabettiane, alla struttura estetica e linguistica del teatro lirico e musicale soprattutto settecentesco, fino, absit iniuria verbis, al vaudeville.
Peraltro, al di là degli elementi linguistici e sintattici, una tale scelta ha forti ricadute anche dal punto di vista narrativo, introducendo il dubbio e la sospensione, la duplicità dello specchio in cui si riflette l'esistenza degli uomini, oltre il manicheismo della contrapposizione tra loro e tra loro e gli dei lontani. Forse addirittura una narrazione per la prima volta profondamente 'laica' in un contesto sempre segnato dal Fato, ma in cui l'ironia dell'esistere oppone una resistenza che è anche una imprevista via di salvezza.
A mio parere la messa in scena di Livermore si muove da queste considerazioni e appare avere ben colto le novità sceniche che il testo, riproposto fedelmente nella sua struttura ma alleggerito da una lingua modernamente assemblata e a noi molto vicina, contiene a volte esplicitamente a volte sotto traccia.
La regia ha scelto infatti di enfatizzare una certa atmosfera da opera leggera, limitando l'enfasi romantica del confronto psicologico tra i personaggi pur presente in Euripide, e proponendo invece la via, appunto, dell'intreccio, del colpo di scena quasi da commedia degli equivoci.
Una impostazione che si giova di un interessante amalgama tra strutturate e contrapposte sintassi espressive e narrative, dai video alle musiche di stampo operistico, alle ripetute distorsioni sonore, nonché di una 'macchineria' scenografica complessa e fortemente figurativa.
D'altra parte, a mio parere, rimane sullo sfondo di tutto ciò il complesso procedere dell'umanità verso una sua essenza autentica, verso una responsabilità esistenziale coperta e oppressa da volontà lontane ed eterodirette cui comunque il mondo tragico tende con sofferenza.
La stessa Elena sembra rimanere un po' impigliata in questi meccanismi narrativi predominanti, che occupano la scena e l'attenzione, così che la sua umanità e femminilità si ferma ad un tratteggio talora troppo condizionato da luoghi comuni, mentre gli aspetti più complessi della ricezione della sua figura, già in epoca classica e basti ricordare Gorgia, anche in funzione di una rivalutazione del femminile, rimangono in ombra.
È certamente uno spettacolo di grande effetto e di forte impatto, sia visivo che sonoro, immerso in una sorta di mare musicale che lo coinvolge e lo trascina oltre i suoi stessi scogli, tra naufragi liricamente suggeriti e ombre di dei che sfumano tra le nubi.
Elena alla fine della sua vita, invecchiata quasi sulla scena stessa mentre la sua immagine trascorre sullo schermo, ripropone così le tappe di una peripezia, di cui ci affida la responsabilità del senso, come nel poema di Ritsos ripropostoci recentemente da Elisabetta Pozzi con grande impatto tragico e forza recitativa non comune.
Un successo notevole in un Teatro della Corte, ribattezzato e dedicato a Ivo Chiesa nel centenario della nascita, pieno in tutti i posti disponibili.
Produzione INDA Istituto Nazionale del Dramma Antico, riallestimento TEATRO NAZIONALE DI GENOVA / INDA. Versione italiana Walter Lapini. Regia e scene di Davide Livermore. Interpreti: Laura Marinoni,Sax Nicosia, Giancarlo Judica Cordiglia, Linda Gennari, Maria Chiara Centorami, Viola Marietti, Maria Grazia Solano, Simonetta Cartia,Federica Quartana, Bruno Di Chiara, Marcello Gravina, Django Guerzoni, Giancarlo Latina, Turi Moricca, Vladimir Randazzo, Marouane Zotti. Musiche di Andrea Chenna. Costumi di Gianluca Falaschi. Disegno luci di Antonio Castro. Video design D-Wok. Assistente alla regia Alberto Giolitti. Assistente scenografo Lorenzo Russo Rainaldi.