Una satira sull'oggi, o meglio su un confuso l'altro ieri dei perduti anni 70, che sembra però mancare proprio di satira, cioè di quell'ingrediente di ironia necessario ad assumere la giusta distanza e la capacità di giudicare e condividere, di interpretare e comunicare la contingenza ed il mutare del tempo in cui tutto trova legame e coerenza. Da uno dei testi più famosi di Goldoni, che ne fece una variazione sul tema oltre la semplice accademia, un testo ricco di sfumature e di metamorfosi anche linguistiche, segno della sua capacità di innovare un italiano meticciato che si faceva letteratura per l'Europa, e che ha conosciuto da fine settecento una fortuna notevole, rinnovata e riaccesa anche nella modernità, ad esempio dalla celeberrimma e bellissima messa in scena di Squarzina proprio su questi stessi palcoscenici. La riscrittura di Natalino Balasso, che conserva integra la struttura narrativa di questa “commedia seria”, perde però una occasione nello sforzo di rendere vicino alla sensibilità
di un pubblico forse sottovalutato, ciò che gli è già prossimo per tradizione e diffusione.
Un pubblico che sembra vissuto non come interlocutore ma come passivo fruitore, da un teleschermo come da un palcoscenico. Così la revisione diventa una sorta di volgarizzazione che recupera anche la parolaccia non in all'interno di un contesto sintattico od espressivo ma come boutade che occhiegga ad un giudizio che si suppone ormai in letargo.
Per intenderci, forse la nostra Italia si è già così imbarbarita ma dal palcoscenico di un teatro, e di un grande teatro in particolare, bisogna aspettarsi qualcosa di più di una sorta di varietà televisivo fuori contesto.
L'intento di rinnovare si trasforma infatti qui in un generale abbassamento del linguaggio scenico che mutua altrove i suoi connotati artistici, per cui Zanetto e Tonino, da ingenuo il primo e intelligente e scaltro il secondo, si trasformano in macchiette “popolari”, un inebetito cantante l'uno ed un violento fascistoide l'altro.
Certamente si ride anche, ci si appassiona ad un vintage musicale che richiama la giovinezza di una intera generazione, ma tutto si fa poi ripetitivo e, nella ripetitività quasi infantile, così che la stessa tenuta recitativa e la regia di un Juri Ferrini che ricordavamo in ben altre performances ne risente, perdendosi man mano.
Uno spettacolo apprezzabile forse solo nel suo riportare in giro per i teatri quel testo settecentesco, quel plot universale dei due gemelli identici, quel gioco di specchi e equivoci illuminanti sempre molto attuale.
Produzione PROGETTO U.R.T. in collaborazione con 53° Festival Teatrale di Borgio Verezzi. Regia di Jurij Ferrini, con Jurij Ferrini, Vittorio Camarota, Maria Rita Lo Destro, Federico Palumeri, Andrea Peron, Marta Zito, Stefano Paradisi. Costumi di Paola Caterina D’Arienzo. Scenografia di Eleonora Diana. Luci e suono di Gian Andrea Francescutti
Ospite della stagione del Teatro Nazionale di Genova, al Teatro Ivo Chiesa dal 20 al 25 ottobre.
Foto Luigi Cerati