Il “contagio” è un tema ed una suggestione che ritorna quasi ciclicamente nella riflessione artistica in genere, letteraria in buona misura ed in particolare teatrale ove assume essenzialmente ed esteticamente l'efficacia metaforica di una rappresentazione ineludibile della condizione umana nel suo transito storico. A partire ovviamente dall'Edipo di Sofocle, re o tiranno che dir si voglia, in cui la peste è il filo rosso che guida ed insieme imprigiona la narrazione di una consapevolezza dinamica e conflittuale, in cui l'acquisizione della verità è sacrificio dell'individuo e salvezza comune, in una contrapposizione e contraddizione irresolubile, e per questo tragica. È questo il tema della bella mostra 'performativa' “EDIPO IO CONTAGIO – scena e parola in mostra nella Tebe dei Re” aperta oggi al Palazzo Ducale di Genova (finalmente in
giallo), promossa dal Teatro Nazionale di Genova con la Fondazione Palazzo Ducale e curata dal suo Direttore Davide Livermore, insieme a Margherita Rubino e Andrea Porcheddu. Una mostra che si definisce 'performativa' perchè con essa ed in essa il teatro finalmente riapre o almeno riappare in presenza, riportando finalmente la parola tragica dentro l'ineliminabile transito della prestazione attoriale che ad essa dà il sangue dell'esistenza concreta, qui ed ora.
Così, tra meravigliosi apparati scenografici che ritornano da rappresentazioni del passato recente alla Scala di Milano, e che quel sangue quasi distillano, in una atmosfera di suoni, musiche e installazioni suggestive che accompagnano il nostro viaggio da Tebe al suo lontano e ancora nascosto approdo, alcuni attori performer, protetti da teche di vetro, recitano versi del primo atto della tragedia.
Le pesanti parole della tragedia si trasformano in questo modo negli abiti stessi della nostra esistenza prigioniera, diventando protagoniste del contesto espressivo, quasi materializzate come corpi in scena, come attori esse stesse, nell'insegnamento sanguinetiano.
Ecco allora che si fa evidente la capacità di questa mostra di dare all'oggi della nostra peste un spazio di profondità che ci riconduca a consapenvolezza e comprensione, facendoci protagonisti di eventi che sembrano sfuggire ancora al nostro controllo. Una capacità che è direttamente legata al suo suggerire, anzi in fondo al suo essere il teatro che ci manca.
Un evento da vedere e a cui partecipare, nella speranza che non sia una distopica anticipazione di una futura condizione del teatro, divenuto cioè, per la lunga e persistente chiusura, “roba da museo”.
Foto Matilde Pisani