È passato un anno circa dalle prime chiusure di cinema e teatri, chiusure che come noto, salvo parziali interruzioni dell'estate e dei primi giorni di autunno, ancora si protraggono e di cui, purtroppo, non si vede la desiderata fine. Oggi in molte piazze d'Italia gli uomini e le donne del teatro e dello spettacolo dal vivo in genere hanno manifestato per chiedere di sopravvivere e per combattere due clichè, molto italiani peraltro, che sembrano soffocarli, togliendo loro il fiato stesso per farsi ascoltare. Il primo è quello di lavorare in un settore non essenziale, poiché come ha detto qualcuno la cultura non si mangia, il secondo è quello di non essere veri e propri lavoratori, ma quasi dilettanti appassionati che il teatro lo fanno di secondo mestiere, direbbe qualcun'altro, pregiudizi questi che, al di là delle chiusure covid, hanno prodotto in
Italia un generale e progressivo deprezzamento del lavoro intellettuale e artistico, ormai per molta parte praticamente poco o punto retribuito. Due pregiudizi che dunque ci riguardano purtroppo molto da vicino, mentre nel resto d'Europa è ben diversa la cognizione del valore della cultura, anche come volano econonomico, pur in paesi che certamente non possono vantare il nostro patrimonio che, come altri ancora hanno detto, fa di noi una sorta di 'superpotenza' nel mondo. Oggi invece in quelle piazze hanno manifestato lavoratori a tutto tondo che rivendicano i loro diritti, il loro diritto a lavorare e a poter vivere di quel lavoro, e che, soprattutto, insieme ai loro rivendicano i nostri diritti, il diritto in particolare ad una società sana in cui cultura e teatro siano l'ossigeno che circola, con il sangue, nelle nostre menti e nel nostro spirito. Un segno di consapevolezza, mi auguro, forse inaspettato e ancora da far crescere per recuperare una coscienza di classe che ormai, ricordando Sanguineti che metteva in guardia dagli effetti perversi del suo oblio, stentiamo a riconoscere in noi e nei nostri compagni di strada.
A Genova, in Piazza De Ferrari, c'erano moltissime persone, addetti ai lavori e semplici cittadini, e con loro rappresentanti sindacali a recuperare un contesto di lotta e contrapposizione, di coscienza appunto perduta. Al mattino, e spiace un po' questa mancanza di coordinamento, i lavoratori del teatro lirico Carlo Felice avevano già organizzato una loro protesta con un concerto davanti alla Prefettura.
Adesso aprire cinema e teatri è necessario e, come hanno dimostrato i brevi momenti di interruzione, lo si può fare in sicurezza per tutti, lavoratori, artisti e spettatori, ed è necessario farlo per recuperare il senso della comunità prima che sia definitivamente perduto.
Il vecchio/nuovo Mininistro lo ha promesso e anticipato, una ulteriore delusione sarebbe esiziale per molti.