Se eresia sta, nella sua etimologia, per scelta, inciampo e dunque per crisi, frattura e quant'altro a ciò connesso, questa stagione 2020/2021 del teatro italiano e non solo può essere tranquillamente definita una stagione eretica. Alcuni hanno risposto con il silenzio, altri invece hanno cercato, rivisto e talvolta inventato nuove forme e nuove espressività che non sostituissero la insostituibile, nello spettacolo dal vivo, presenza o, se vogliamo essere più precisi, la compresenza di attore e spettatore, ma in un certo senso ne enfatizzassero l'imprescindibilità, richiamandola nelle sintassi e nei linguaggi, senza però alcuna surroga. È questo, a mio avviso, ciò che ha cercato di fare e continua a sviluppare il Teatro Nazionale di Torino che, non adagiandosi sul semplice ma insufficiente streaming o ripresa video, ha continuato il processo di produzione dei suoi spettacoli derivando, nell'impossibilità di andare in scena, da questo processo forme di comunicazione rinnovate e molto interessanti. Dapprima, già nel corso della precedente
chiusura della scorsa primavera, gettando nel piatto la proposta di Gabriele Vacis di trasformare provvisoriamente i teatri in luoghi di condivisione in cui lo spettatore/visitatore poteva peregrinare negli spazi e nei tempi della elaborazione drammaturgica mentre questa si sviluppava. Una visita, un viaggio che, dunque, riavvicinava.
Ora, in questa seconda clausura che ha interrotto dall'ottobre scorso una stagione che si era avviata tra comuni aspettative positive, reinventando la forma espressiva del docu-film per adattarla alla percezione del processo creativo che costruisce lo spettacolo per la sua destinazione naturale, il palco ed il pubblico.
Ne sono usciti sinora quattro, a disposizione sui canali facebook e youtube del Teatro, gratuitamente, ciascuno costituendo una opera in sé, autonoma, per linguaggio anche dallo stesso spettacolo da cui nasce, come testimonia la specifica titolazione, ma capace di riproporne, attraverso i processi della sua strutturazione estetica e drammaturgica, il senso profondo e facendo balenare, come in un suggestivo miraggio, la realtà concreta iscritta nella stessa attesa del suo approdo in scena.
Un approccio molto intrigante, che preserva e non surroga la percezione della presenza in sala, ed un esito efficace in sé, al di là di quello che sarà lo spettacolo quando potrà esordire.
Quattro, come detto, gli spettacoli sinora così processati. Il primo è stato “La casa di Bernarda Alba” di Garcia Lorca per la regia di Leonardo Lidi, spettacolo che tra l'altro ha subito entrambe le interruzioni, riuscendo ad andare in scena a ottobre per soli due giorni. In questo caso in effetti la trascizione video (“Una terrible repeticiòn”) ha anche inciso sulla revisione estetica della drammaturgia che ne è stata influenzata.
A seguire “The Spank” (“Dov'è finita la normalità”) di Hanif Kureishi per la regia di Filippo Dini, e poi due regie pirandelliane di Valerio Binasco, che del Teatro di Torino è Direttore Artistico, e cioè “Così è (se vi pare)” e “Il piacere dell'onestà”, rispettivamente traslati in “Il fantasma della verità” e “Le bestie”.
È un modo piacevole e profondo, che consigliamo a tutti, per non perdere quel contatto con noi stessi che solo il teatro consente.