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Cari lettori ospito in questo spazio un articolo che riguarda le sovvenzioni alla cultura in Germania e alcune considerazioni secondo me molto condivisibili del giornalista. Prima però segnalo alcuni dati sulla spesa culturale in Italia a confronto con la Germania. Anche sommando i contributi di comuni, regioni e fondazioni bancarie, le distanze rimangono abissali. Gli interventi dei privati sono irrilevanti, mi pare.

Il FUS, Fondo Unico dello Spettacolo (teatro, lirica, cinema, danza, circo, concerti, beni artistici, archeologici, ho dimenticato qualcosa?) è precipitato dai 471 milioni di euro del 2008 ai 258 del 2011 a fronte dei 7,2 miliardi della Germania!!!
Ora è stato reintegrato, ma quello rimane.
Non si tratta solo di soldi ma di progetto culturale, di sfruttamento degli spettacoli cancellati dopo pochissime repliche, di sprechi inaccettabili nel momento in cui l’economia mondiale impone profondi cambiamenti, infine di una legge che non c’è e che mantiene tutto aleatorio.

Da Italia oggi
corrispondenza da Berlino Roberto Giardina - venerdì, 25 marzo 2011 - 0:00
Per una nuova mostra al Martin Gropius Bau, a Berlino, alla conferenza stampa al mattino a noi giornalisti hanno offerto aranciata e acqua minerale. Alla sera, all'inaugurazione ufficiale, ho  ho trovato anche birra e vino. A pagamento. I giornalisti, si sa, vanno blanditi. Gli ospiti, se hanno sete, paghino. Si sono meravigliati solo gli italiani. Questo è uno dei modi di risparmiare sulle spese culturali, alla tedesca. Si taglia, non si amputa.
Difficile trovare dati esatti. In realtà, sembra che nell'ultimo anno il bilancio federale per la cultura sia salito del 4,5% a 102,8 miliardi di euro. Ma si chiudono teatri e ovunque si denuncia una certa difficoltà a mantenere il livello passato. Perché la Germania è uno stato federale, molte spese sono attribuite ai länder, alle regioni o ai comuni.
Della somma globale, 7,2 miliardi sono stati spesi direttamente dal Bund, la federazione, 66,1 miliardi dalle regioni, 19,1 miliardi dalle amministrazioni locali. Il 36,3% è andato per teatri e musica, il 18,6% per i musei e il 14,6% per le biblioteche. In rapporto al bilancio statale, la cultura riceve circa lo 0,35%. Poco, molto, abbastanza? I tedeschi, comunque, hanno scoperto l'arte di arrangiarsi, senza sprechi. Se Frau Angela proponesse di aumentare la benzina, come da noi, per finanziare cantanti e attori, verrebbe cacciata dagli elettori inferociti. Inoltre in aiuto arrivano gli sponsor privati. Nella Galleria d'arte moderna di Stoccarda, ho visto un Picasso donato dalla Daimler Benz. I nostri industriali preferiscono acquistare Ronaldinho o Pato.
Si chiudono teatri storici a Berlino o ad Amburgo, Düsseldorf e Stoccarda, ma la Germania possiede comunque la più fitta rete di teatri al mondo: 150 vengono finanziati dallo stato, gli altri sono privati aiutati solo in parte. In media un biglietto costa alle finanze pubbliche oltre 87 euro. I costi dell'Opera solo per il 20% vengono coperti dalla vendita dei biglietti, già molto cari. Per andare alla Deutsche Oper di Berlino, vicino a casa mia, dovrei sborsare a costo pieno 500 euro, in platea. Ma si tira avanti.
Berlino, dopo la riunificazione, si è ritrovata con tre teatri d'opera e non li ha chiusi. Ha solo convinto i tre intendenti a collaborare tra loro, programmando opere diverse e cercando di ridurre le spese passandosi i cantanti. La Deutsche Oper ha cancellato un nuovo allestimento del Fidelio, ma si comunica che il futuro del bel canto nella capitale non è affatto preoccupante.
Qui hanno dato molto risalto ai nostri tagli che mettono in pericolo perfino la Scala. Però aggiungono: come si fa a spendere 55 milioni a Roma per sei nuove messe in scena? I tedeschi non capiscono: qui l'allestimento di una nuova opera viene sfruttato per dieci o vent'anni. Ho visto di recente un Nabucco allestito alla fine del secolo scorso. Da noi è impensabile. Molti anni fa, nell'allora capitale Bonn, vidi un Don Giovanni. A me piacque, ma non sono un esperto. Come Leporello cantava Ferruccio Furlanetto. A Milano Furlanetto non canterà mai, mi disse un mio collega, il migliore esperto della Scala. L'anno dopo, von Karajan lo chiamò a Salisburgo. Oggi, Furlanetto è considerato uno dei migliori Leporello che si possano ascoltare, forse il migliore in assoluto. Si è fatto le ossa nella provincia tedesca.
Sono andato all'Opera di Detmold, cittadina di 80 mila abitanti in Westfalia. Davano l'Orlando di Händel, opera barocca difficile da ascoltare in Italia. A me è sembrata ottima, ma non sono un musicologo. Il teatro era stracolmo. Gli spettatori, con una perfetta organizzazione, vengono portati in pullman da tutta la regione. Ci sono trasporti speciali per gli handicappati. E all'intendente di Detmold non salta in testa di allestire l'Aida o la Tosca. Si è specializzato, non fa concorrenza ai grandi teatri.
Anche il Goethe Institut ha dovuto stringere la cinghia, ma il suo bilancio si aggira sui 340 milioni, il 30% delle spese è coperto dagli introiti (corsi di lingua). E si è riorganizzato: ha ridotto al minimo l'attività a Trieste o a Napoli, dove non si avverte il bisogno di propagandare la cultura tedesca. A Posillipo ha assunto una direttrice italiana, bravissima, che si era fatta le ossa al nostro istituto di cultura a Berlino. E costa meno di una collega tedesca da mandare all'estero. In compenso, ha aperto un Goethe in Kazakistan e in altri paesi dell'Asia.
Un domani, l'ingegnere kazaco che parla tedesco comprerà una macchina utensile made in Germany. Come si fa a conteggiare quanto rende la cultura? Antonio Manfredi, creatore e direttore della Galleria d'arte moderna di Casoria, patria della bionda Noemi, ha suscitato un'eco internazionale quando ha chiesto la protezione della Cancelliera tedesca per sopravvivere. La Merkel non gli ha risposto, per correttezza verso Roma, ma gli ha inviato un console in visita di cortesia. Per tirare avanti a Casoria basterebbe una sovvenzione pari al costo degli scarpini dei giocatori del Napoli. O forse meno.