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Il LAC di Lugano è un vero è proprio centro di produzione culturale: durante la chiusura non ha abbandonato il suo pubblico, continuando a proporre, anche a distanza, incontri, visioni teatrali e poetiche. Si è rafforzato ancora di più un legame che era già forte. Con senso di cura e di attenzione sono state promosse iniziative culturali, come il progetto Lingua Madre, frammenti di visioni e suggestioni sulla complessità del reale, e lezioni sulla storia del teatro a cura del direttore Carmelo Rifici (nella foto di CDT/Archivio). «Un percorso in quattro atti per curiosi e appassionati che desiderano entrare in contatto con il mondo del teatro e approfondire il proprio sguardo, acquisendo chiavi di lettura fondamentali per la comprensione di questa disciplina e del suo sviluppo storico. Dalle origini del teatro occidentale, sorte durante il periodo dell’Antica Grecia, il percorso procede verso il teatro elisabettiano, per incontrare lo sviluppo di una messa in scena con la stagione del teatro borghese, fino a raggiungere la contemporaneità e le sue ricerche più versatili». Rifici ha un modo di condurre la lezione chiaro ed efficace, dialoga con la telecamera come se noi fossimo lì, avvicina il libro per farci vedere meglio un’immagine con la semplicità che i veri

Maestri sanno dare e con la consapevolezza che bisogna donarsi veramente per arrivare all’ultimo spettatore, dell’ultima fila: “Vedete”? Sì vediamo e pur essendo al di là di uno schermo, ci sentiamo coinvolti. Il tema dell’incontro: “Il teatro borghese”.
Come nasce questo teatro? Perché bisogna aspettare tanto per avere un teatro che racconti il reale?
Si parte da un tabù e dalla volontà di infrangere quel tabù. Abbiamo vissuto a lungo in un tabù legato ad una cattiva lettura della Poetica di Aristotele e, in modo particolare, ad una errata interpretazione delle tre unità che dovevano caratterizzare un’opera teatrale: unità di azione, unità di tempo e unità di luogo. L’azione, del dramma, doveva essere unica; unico doveva essere il luogo, e unico il tempo in cui si svolgeva l’azione. Su questa errata interpretazione dell’opera di Aristotele il teatro rimane a lungo frenato. Chi riesce a liberarsi di questa visione aprendo una porta immensa? Shakespeare. Il drammaturgo inglese, crea un teatro di grandi relazioni fra personaggi in tempi e spazi diversi. Le compagnie delle Commedie dell’Arte quelle che girano l’Europa e catturano tutte le novità fanno tesoro di queste innovazioni e riescono a costruire un teatro che sta “nel mezzo” libero da sovrastrutture. Sono comunque legate a maschere che riprendono e rielaborando antichi modelli. In Francia un grande passo avanti avviene grazie a Molière che con i suoi capolavori da “Don Giovanni”, a “Il misantropo” a “Tartufo”, in qualche modo anticipa quello che sarà definito “dramma borghese”. Il passaggio non è completo perché le opere sono ancora molto legate a maschere. Sarà un Italiano a compiere il grande salto: Carlo Goldoni che a Parigi realizza un nuovo modo di fare teatro in cui si rappresentano situazioni più complesse e articolate che vanno ben oltre le tre unità di tempo, di luogo e di azione. Questo passaggio è molto evidente in particolare nell’Opera “Il Ventaglio”, in cui una intera società: nobili oziosi e plebei, commercianti e artigiani, servi, vengono studiati attraverso un piccolo oggetto: un ventaglio, un’analisi spietata di gelosie, invidie, turbamenti amorosi; tutto raccontato attraverso un gioco teatrale perfetto, con tempi dilatati e spazi ampi. Ma il grande salto verso un teatro che diventa analisi crudele e reale delle relazioni umane, viene compiuto grazie agli autori del Nord Europa che, non a caso, sono anche studiosi di medicina, autori come Ibsen e Strindberg, volgono la loro attenzione all’animo umano, guardano verso il cielo, verso il mare. Il grande freddo, il grande buio spinge questi autori a guardare nel buio dell’animo umano. E così fanno rivivere, tutto quello che era rimasto a lungo sepolto: utilizzano un linguaggio reale, per raccontare il mondo interiore, senza perdere il riferimento ai grandi temi mitici. La realtà, il quotidiano, si mescola alla storia e diventa universale, ognuno può riconoscere il proprio dolore, nel vissuto dei personaggi in scena. Rifici, in particolare, si sofferma su un’opera a lui molto cara: John Gabriel Borkman di Henrik Ibsen, dramma del 1896, penultimo della sua produzione teatrale. In quest’opera è possibile vedere come Ibsen, pur affrontando temi reali, racconti una storia mitica. Due donne (una madre e una zia) si contendono un ragazzo e lo fanno con un linguaggio che sembra arrivare da un altro tempo, dai miti antichi, dalle tragedie greche. La stessa cosa farà Strindberg nell’opera “Il padre” in cui il dramma borghese racconta qualcosa di molto più antico e mitico. Una donna instilla nel proprio compagno, il dubbio sulla paternità. Strindberg, con occhio lucido e spietato, tratta i temi della crisi familiare nella società borghese, conducendo nello stesso tempo un’analisi accurata, sul travaglio psicologico di un uomo, delegittimato del proprio ruolo. Nelle loro opere i due drammaturghi affrontano verità mai rivelate sui palcoscenici. Queste opere avevano bisogno di un nuovo pensiero teatrale per essere rappresentate sia livello scenografico che attoriale. I grandi attori italiani sono in grado di reggere questi cambiamenti, elaborano un nuovo sistema di recitazione in grado di reggere la forza di questi testi: Ristori, Zacconi, Ruggeri, Novelli fino ad Eleonora Duse che farà conoscere Ibsen in tutta Europa... Dall’incontro fra alcuni di questi attori e Stanislavskij, nascerà un sistema teatrale basato su una nuova idea di recitazione, un nuovo sguardo teatrale che si diffonderà a macchia d’olio. Il viaggio termina qui: “Mi sarò dimenticato cinquecentomila cose...” dice sorridendo il Direttore del Lac, ma noi abbiamo sicuramente imparato un milione di cose. Il ciclo dedicato alla storia del teatro, si concluderà prossimamente con un’analisi degli approcci teatrali contemporanei. Restiamo in attesa della data, perché queste iniziative culturali rivestono grande importanza per gli spettatori e per chi voglia andare a teatro, vivendo questo “andare” come un viaggio in cui si esplorano mondi nuovi, con sguardi rinnovati, in tempi di pandemia è un atto d’amore, grazie.

 LAC Lugano, 13 aprile 2021

Foto CDT/Archivio