È una trappola, questa nuova drammaturgia di Christian Ceresoli, uno specchietto per le allodole, un trompe l'oeil che sembra raccontarci di un dopo-domani non si sa quanto immaginario e invece ci precipita a tradimento nell'oggi dei ruoli precostituiti, delle identità imposte e sovrapposte, delle maschere di felicità costruite e offerte, sempre a caro prezzo, da una Società liquida e sfuggente al solo scopo di farci dimenticare la disperazione, senza più nome purtroppo, e la perdita che man mano ci attanagliano. Una sorta di “fascismo della felicità” anticipato oggi in tanti luoghi dello spettacolo e man mano incorporato nella mente, il fascino di non dover pensare e prendersi responsabilità ma di dover solo adeguarsi per poi esprimere una gaiezza che non si prova e non si conosce, ma si finge tra veline e calciatori, tronisti e
amici di tanti transiti della televisione dei nostri giorni, ovvero influencer del web a sostegno di qualsiasi moda che sia del tutto passeggera ma insieme altrettanto indispensabile e inevitabile. Due simil-adolescenti, fratello e sorella dai nomi improbabili di una famiglia disagiata, si preparano dunque alla vita, o meglio si candidano in questa Società talmente competitiva da schiantare qualsiasi volontà, al riscatto, a conquistare il palcoscenico della finta felicità, dell'allegria del “sei meraviglioso” e “va sempre tutto bene”.
Tra Angeli assai poco immateriali, dal corpo scolpito, e un Dio anch'esso schiavo del consueto e del sempre riproducibile, tutti possono, anzi devono partecipare, anche questi due fratelli un po' sgraziati, specchio di inadeguatezze che non vanno superate ma semplicemente rimosse sotto il tappeto.
Il palcoscenico dell'omologazione perenne, dunque, dentro il quale l'identità singolare non è prevista ma ormai sostituita dalla identificazione, e per il quale i sentimenti non costituiscono più l'essenziale intimità di ogni esistenza degna ma sono solo interferenze indesiderate. Perchè dunque cercare di essere (felici) quando basta sembrarlo o fingerlo a comando?
Una pièce ironica e divertente e insieme disturbante, se vogliamo, in quanto tenta di non farci nascondere a noi stessi per guardare negli occhi l'angoscia che attraversa questi tempi strani, che con difficoltà mettiamo a fuoco.
Dopo il successo internazionale del suo precedente lavoro, Ceresoli torna dunque a guardare e a farci guardare senza troppi infingimenti.
Un buon testo, forse con qualche smagliatura negli ottanta minuti di messa in scena, diretto con efficacia dal regista danese Simon Boberg e ben interpretato da Silvia Gallerano e Stefano Cenci. Efficace la scenografia sonora di Stefano Piro.
Una coproduzione Italia, Regno Unito e Danimarca ospite della stagione appena iniziata del Teatro Nazionale di Genova, alla Sala Mercato dal 12 al 14 maggio.