Un interessante esperimento estetico, quello che si è risolto sul palcoscenico del teatro Duse di Genova, e direi anche efficace, che sovrappone sintassi diverse mescolando media diversi, non tanto però facendo l'uno partecipe dell'altro, come consueto, quanto organizzando un percorso che dall'uno si ribalta nell'altro, in una sequenza spiazzante e anche di libera determinazione dello spettatore.
Per chiarezza Showtime è uno spettacolo complesso, proprio nel senso strettamente etimologico, cioè fatto di parti tra loro all'apparenza diverse ma interdipendenti, cinque brevi fiction televisive, ben dirette e dai toni più ironici ovvero grotteschi che drammatici, ed un esito finale sul palcoscenico. Come detto lo spettatore può scegliere di vedere prima la fiction e poi il suo risolversi scenico, o viceversa da quest'ultimo risalire, attraverso quella, alle sue motivazioni e al loro retroterra. È comunque un percorso che rimanda in un certo qual modo ad un sentire tragico, non solo nella narrazione, ma anche nella scrittura che
risolve, per così dire, l'aspetto epico del contesto intorno all'evento scenico, facendo discendere l'uno dall'altro.
Una storia infatti che mostra, o tenta, di affondare le sue radici in un contesto arcaico con le figure dei due fratelli albanesi, il primo, Arber, ucciso in circostanze ambigue da Vittorio, noto imprenditore, e il secondo, Adrian, suo vendicatore secondo l'antica legge che il padre di entrambi rappresenta.
Ovviamente faida e vendetta non possono che trasfigurarsi nella modernità dei social e diventano così l'occasione per una diretta in cui Filippo, il figlio dell'imprenditore rapito da Adrian e anche influencer di successo, dovrà svelare la verità su quanto accaduto.
Una doppia incursione mediatica dunque, nella narrazione e nel suo oggetto, che apre ad una sospensione finale, nel buio che cade come un sipario sulla scena, e con uno sparo la attraversa improvviso, mentre la stessa vendetta ed i suoi codici sembrano aver infine perso il loro significato condiviso.
Il tutto sotto il segno di Bulgakov de Il maestro e margherita, che Adrian ha tradotto ad evidenza del suo transito da quell'arcaico di cui da tempo dubita : “Nessun uomo può venire meno alla propria parola d'onore, perché altrimenti sarebbe impossibile vivere in questo mondo.”
Un evento particolare, in cui comunque la messa in scena in presenza prevale sulla fiction nella sua capacità di porci di fronte ai nodi di rapporti contraddittori, tra gli umani e tra questi ed i loro pensieri identitari.
Ideata, diretta e interpretata nelle diverse sue modalità da Luca Cicolella e Igor Chierici, vede nella sua parte fiction il contributo di altri personaggi ed interpreti, tra cui Nicola Panella e Lisa Galantini.
Una produzione Teatro Nazionale di Genova e Fondazione Garaventa. Costumi Carolina Tonini con partner Giglio Bagnara. Fonica Lorenzo Sale. La fiction è accessibile sulla emittente genovese Primocanale.
L'esito scenico invece, che ha come detto una sua inevitabile autonomia, con buona accoglienza al Teatro Eleonora Duse dal 25 al 29 maggio.