Il padre. La letteratura, la psicoanalisi, l’arte, il cinema e la cultura tutta vi hanno dedicato ampie e sfaccettate riflessioni, da Edipo Re ai giorni nostri. E appunto anche a teatro il tema è stato ampiamente affrontato ma a Tramedautore 2021 ne va in scena una formulazione sui generis che è tutta da scoprire. Si intitola “Arturo” (13 settembre al Piccolo Teatro Grassi di Milano) la pièce di e con Laura Nardinocchi e Niccolò Matcovich, vincitrice del Premio Scenario Infanzia 2020 ex aequo e finalista al Premio In-Box 2020 e già circolato nel panorama teatrale contemporaneo italiano in questi mesi.
Arturo non rimanda al capolavoro della Morante – questa generazione di autori suole abbeverarsi altrove, sebbene ve ne sarebbe stata ampia pertinenza – quanto alla stella tanto fulgida nel cielo serale, la stella riferimento per i viandanti. Il padre- nocchiero che conduce per le intemperie della vita è infatti la figura chiave dello spettacolo, ma presto la narrazione si arricchisce di molte altre rappresentazioni grazie alla
formula ibrida dello spettacolo. Gli autori-attori raccontano dei propri padri, morti improvvisamente alcuni anni fa lasciando un grande vuoto nelle rispettive esistenze. Al pubblico è chiesto di completare gli spunti descrittivi con riferimenti alla propria esperienza, componendo un quadro di contaminazione tra il testo e l’apporto del pubblico. Un puzzle si compone sulla scena attraverso esperienze dei presenti in sala che completano abbozzi di frasi riferite ai propri padri, mentre a ciascuno è chiesto di annotare su appositi foglietti la propria definizione di padre per comporre un libro unitario di sperienze di paternità vissute.
Il risultato è poco teatrale nel senso stretto – e più tradizionalista – del termine, ossia la narrazione è talvolta imprevista come sono imprevisti gli apporti del pubblico, mentre la stessa linearità del prodotto si fa bizzarra nelle sue forme. Ma prende vita una nuova concezione di teatro che parte da ciò che un’autorialità predefinita ha prodotto, espandendo il proprio campo attraverso ciò che un’autorialità inattesa e multipla – ossia il pubblico – può contribuire ad aggiungere.
Dopo diverse rappresentazioni, la platea vive la rievocazione di tante paternità tra sé e gli altri e ne resta traccia nel libro finale che raccoglierà a sua volta l’immaginario del padre attraverso i vissuti di molti.
Il teatro confina con la psicoanalisi con cui si confonde e congiunge, elaborando una forma teatrale liminare, tra il reading, il workshop, lo show. Il risultato convincente è determinato dal grande impatto emotivo che questa operazione esercita sugli attori ma anche sul pubblico, come uniti in una seduta di rievocazione psicoanalitica del proprio vissuto.
Questa componente emozionale, agganciata all’elaborazione dei fondamenti dell’identità personale, rende lo spettacolo paradossalmente più tradizionale e antico di quanto si possa immaginare, vicino a quelle forme greco-latine di teatro come espressione di nodi interiori che sulla scena vengono purificati in una sorta di catarsi collettiva. Bel progetto!