Festival giovane, nato nel 1995 come rassegna di teatro ragazzi e che quest'anno si apre per la prima volta all'intero mondo della rappresentazione, in esso incorporando il suo sguardo iniziale oltre le settorizzazioni che hanno contraddistinto, spesso appesantendola, la scena italiana degli ultimi decenni. È il segno importante di un superamento di limiti e confini che finalmente torna a riconoscere il teatro come mondo unitario e condiviso, all'interno del quale sono le regole estetiche che ne devono caratterizzare l'impatto e l'apprezzamento nel rapporto con il pubblico, inteso sempre come destinatario di uno sguardo ed insieme specchio che questo sguardo elabora e ineluttabilmente restituisce. Ma non si è trattato solo di un appesantimeno burocratico, come hanno sottolineato i due direttori artistici Claudio Casadio e Ruggero Sintoni, quanto piuttosto di una sorta di imprigionamento in regole e sotto-regole che con il ricatto economico si sono spesso sovrapposte alla creatività dei
singoli e dei gruppi, causando in quest'ultimo periodo, anche motivato da una certa 'asfissia' da chiusura pandemica che quel ricatto ha accentuato, un percepibile peggioramento della qualità complessiva degli spettacoli e della inventività drammaturgica.
Ben venga dunque questa nuova apertura che, con altre, supera incoerenti divisioni e frammentazioni, mettendo a disposizione idee e così fecondando con nuove seminagioni terreni per così dire resi sterili da mancate e opportune rotazioni, per usare una metafora molto ben comprensibile in quelle terre di Romagna, ricche e ubertose.
È infatti necessario un ritorno alla natura profonda e antica del teatro come rito in grado di aprire ad una conoscenza altrimenti irraggiungibile, indispensabile dunque alla mente e allo spirito dell'umanità e la cui mancanza è vuoto che produce angoscia e anche malattia. Ed è necessario farlo con un rinnovato rigore, capace anch'esso di superare prigioni ideologiche ed economiche e dunque di contrastare ogni caduta di qualità creativa.
Una apertura tra l'altro, costituendo questa un'altra importante caratteristica della rassegna, sostenuta e alimentata da una grande attenzione al testo e alla drammaturgia, fosse originale o contemporanea riscrittura, quale struttura che dà forma allo spettacolo durante il suo transito scenico.
Il festival Colpi di Scena, titolo quanto mai suggestivo e pieno di rimandi, e con esso l'associazione promotrice Accademia Perduta/Romagna Teatri insieme ad Ater Fondazione, è anche questo, una ricerca, un itinerario tra Forlì, Bagnacavallo e Piangipane tra il 30 di settembre e il 2 ottobre, che non è solo una rassegna di spettacoli ma un contatto più profondo con territori creativi come pochi, ora e in passato.
Ho accompagnato una parte di questo itinerario. Queste le mie restituzioni.
ADAM MAZUR E LE INTOLLERANZE SENTIMENTALI (foto in apertura)
Un testo complesso e sovrapposto quasi un nodo contorto che talora non si risolve pienamente nella sua messa in scena. Nasce da uno spunto molto letterario nel suo contenuto e anche nella sua lingua, in cui la sintassi narrativa sembra tendere a prevalere su quella drammaturgica. Uno scrittore torna, per scrivere la sua autobiografia ed evidentemente controvoglia, nella sua piccola città da cui ci immaginiamo fosse fuggito. Il ritorno al passato diventa così uno sprofondare in territori dimenticati della mente, un fare i conti con la propria interiorità che è anche un attraversare i luoghi della nostra modernità confusa. È un interpretare la propria infanzia e le proprie radici, in una sorta di ribaltamento che è sovrapposizione di identità e confusione di sessualità, quasi a ricercare in una impossibile fludità le ragioni ed il riscatto della propria perdita esistenziale. Il padre e la madre sono in queste fantasie, tra l'incesto immaginato e freudianamente elaborato che ci fa adulti e contemporanee ma forse fallaci liberazioni del sé profondo, diventati rispettivamente una donna e un uomo con cui il protagonista si accoppia oniricamente nello squallido albergo a ore in cui si è rifugiato, metafora forse dell'esistenza stessa. Un tentativo di fare i conti con se stesso che però si disperde e sfugge come le immagini oniriche del mattino che sembrano così chiare ma si sottraggono poi ad ogni comprensione. Si tratta di una anteprima e come si sa ogni testo ha una vita sua propria. Ora questo sembra ancora un po' immaturo ma mostra qualità che deve ancora ben esprimere per acquistare un maggiore equilibrio tra intenzionalità narrativa e resa drammatica.
Del Collettivo Lacorsa, che raccoglie le esperienze di Punta Corsara nata da una costola della non scuola delle Albe.
Di Gianni Vastarella. Con Gabriele Guerra, Roberto Magnani, Pasquale Palma, Valeria Pollice. Assistenti alla regia Giuseppina Cervizzi, Vincenzo Salzano. Collaborazione alla drammaturgia Valeria Pollice. Organizzazione Ilenia Carrone. Regia Gianni Vastarella.
Al Teatro Goldoni di Bagnacavallo il 1° Ottobre.
MILLE ANNI O GIU' DI LI'
Una dranmaturgia molto moderna, nella commistione di linguaggi capace di traslare e vivisezionare la parola, tra musica in presenza e figuratività (molto belli gli scenografici disegni e i video di Davide Reviati), ma insieme stranamente, e straniamente direi, inattuale. Inattuale poiché legata ai tempi di un narrare antico e universale, in cui la pausa si fa essa stessa significato, risuonando quasi come una eco alla parola recitata, e in cui epos e poesia si legano in un dialogo continuo ma come sospeso in un tempo che scivola nel sogno. Un uomo chiuso in una stanza in una vecchia periferia, una finestra, un balcone e un prato come suo alienato sguardo sul mondo, un uomo che guardando fuori racconta il suo dentro, così da trasformare il ricordo confuso in un delirio significante e illuminante. Dentro tutto ciò i lacerti lirici di due poetesse zingare, dunque nomadi (Branislawa Wajs e Mariella Mehr) ad indicare che anche la vita di chi non si muove è comunque nomade, e anche se non attraversa i confini dello spazio può attraversare quelli del tempo e della sua anima. Lo spettacolo registra, di questo uomo, gli immobili movimenti, mentre lui registra quel poco che attorno a lui accade, da sempre. Luigi Dadina ripropone qui gli accenti commossi di una sua ricerca personale in cui la narrazione è un ritracciare i segni, a volte perduti ma non dimenticati, dell'esistenza singola e della comunità che lo circonda ed è, come detto, capace di trasfigurare modi e sintassi di una modernità spesso, nei giovani, inconsapevole nella sua rapidità. Uno spettacolo interessante, in prima nazionale e quindi ancora custode di ulteriori miglioramenti.
Con Luigi Dadina e Francesco Giampaoli. Voce Elena Bucci. Ideazione Luigi Dadina e Davide Reviati. Drammaturgia: Luigi Dadina, Davide Reviati, Laura Gambi. Immagini e video Davide Reviati. Musiche Francesco Giampaoli. Regia Luigi Dadina. Produzione Teatro delle Albe/Ravenna Teatro.
Al teatro Socjale di Piangipane il 1° Ottobre.
LA STRADONA – Autobiografia di una regione allo specchio
Un altro viaggio nella storia personale e intima che però qui perde le sue tonalità più universalmente condivise per assumere i toni più espliciti della biografia, seppur efficacemente trasfigurati in geografia. La vita, sempre singolare e soggettiva, si metaforizza dunque in un viaggio tra Piacenza e il mare, tra nascita ed età matura, lungo la via Emilia sognata come un utero che partorisce un mondo, il mondo che vive attorno a quella strada secolare. Un viaggio a stazioni, contrassegnata ciascuna da immagini e video, frammenti della memoria identitaria che hanno in Federico Fellini il loro demiurgo, e insieme scandito dalle parole della poesia, da Campana a Tonino Guerra. Ma ogni tappa è solo una occasione per parlare del sé più nascosto nel rapporto intenso e irrisolto con la propria madre, che solo attraverso quella immagine che può essere condivisa con molti può accettarsi ed essere accettato. Un ulteriore sperimentarsi in scena quasi che questa fosse oggi il solo luogo in cui recuperare qualcosa che andiamo man mano perdendo.
Di Iacopo Gardelli, con Lorenzo Carpinelli. Video di Vladimiro De Felice. Una produzione Studio Doiz, in collaborazione con Home Movies – Sguardi in Camera.
Al Teatro San Luigi di Forlì il 2 ottobre.
IL PROBLEMA
Un dramma di interni, nel doppio senso di un interno fisico, un anonimo appartamento, e di un interno psicologico, quando in entrambi precipita la malattia psichica più nota dei nostri tempi l'Alzheimer. Una narrazione secca e tagliente che però, nello squadernare sintomi e reazioni, fughe e indifferenze, non riesce a superare sgli stretti, forse necessari, confini documentari, quasi ad inchiodare ad un suo proprio senso di colpa l'impotenza singola e la disattenzione sociale. In fondo un intento valido e anche giusto, ma privo di quel colpo d'ala drammaturgico capace di dare senso universale, e quindi una prospettiva profondamente umana, agli eventi che descrive.
Di Paola Fresa, testo menzione speciale Premio Platea. Con Nunzia Antonino, Michele Cipriani,
Franco Ferrante e Paola Fresa. Collaborazione alla creazione collettiva Christian Di Domenico. Scene e costumi Federica Parolini, luci Paolo Casati, tecnico luci Maurizio Coroni, costruzione scene Luigi Di Giorno e Davide Maltinti, video e foto di scena Andrea Bastogi, illustrazione Francesco Chiacchio. Con il sostegno di U.P.I.P.A. (Unione Provinciale Istituzioni Per l’Assistenza –Trento) e TRAC centro di residenza pugliese - Teatro comunale di Novoli
Al Teatro il Piccolo di Forlì il 2 Ottobre.
THINKING BLIND
Performance drammaturgica, o meglio drammaturgia performativa dalle profonde suggestioni figurative, ispirata all'ultima opera dell'artista Derek Jarman, malato di AIDS allo stato quasi terminale e reso praticamente cieco da una infezione che gli consentiva di vedere solo nei toni del blu. Il colore blu, che in Klimt ricordiamo rappresentava la pare alta, intellettuale, dello spirito umano, diventa così metafora dell'intera esistenza, quando è in grado di vedere oltre le stesse forme della bellezza e di sentire oltre le sonorità consuete delle parole che la narrano. Una donna che recita, sempre di spalle, immobile come una statua, ed un uomo che danza, entrambi con lunghe gonne blu come sacerdoti dervisci. Stanno in scena e rincorrono le immagini che la vita precipita in essa, tra temi sociali e sofferenza, per ripristinare il proprio dominio sul corpo e la sua libertà dopo tante costrizioni. Un paradigma di ogni esistenza. Uno spettacolo di livello anche nella sua messa in scena.
Progetto e regia Ivonne Capece. Performer Ivonne Capece e Giulio Santolini. Collaborazione artistica Walter Valeri, concept visivo e foto Micol Vighi. Performance Finalista Biennale College Teatro 2021 Sezione performance internazionale Under40.
Al Teatro Testori di Forlì il 2 ottobre.
IL DEFUNTO ODIAVA I PETTEGOLEZZI
Non un omaggio a Majakovskij ma il tentativo di esteticamente distillare dalla sua vita e dalle ultime opere, per quanto e in quanto si possano discernere l'una dalle altre, quel senso di inesausto dinamismo, quell'andare oltre che era ed è l'unico modo per riscattare il presente dai suoi limiti e dalle sue cadute. Riscrittura da un romanzo di Serena Vitali, ripropone ritmi e figuratività di quel rivoluzionario innovatore, della vita attraverso l'arte e dell'arte attraverso la vita, ricostruendo una trama futurista mai fine a se stessa ma capace di rintracciare e trascinare alla luce significati e suggerimenti quanto mai contemporanei. Un approccio che va oltre la Storia, che pure ne è la strutttura, e la vita di quella generazione perduta per recuperarne non tanto l'insegnamento, per citare il Martinelli della “non scuola” quelli non erano maestri, quanto l'invito ad essere diversi e liberi. Uno spettacolo dal grande dinamismo, sempre sul punto di oltrepassare i confini di una scena profondamente multisegnica, ben scritto e altrettanto ben interpretato.
Tratto dall’omonimo romanzo di Serena Vitale (edizioni Adelphi). Ideazione Consuelo Battiston e Gianni Farina. Drammaturgia, regia, suono, luce Gianni Farina. Con Consuelo Battiston, Tamara Balducci, Leonardo Bianconi, Federica Garavaglia e Mauro Milone. Costumi Elisa Alberghi e Consuelo Battiston. Tecnica Paolo Baldini, costruzioni sceniche Giovanni Delvecchio, organizzazione Marco Molduzzi, Maria Donnoli, comunicazione e promozione Maria Donnoli. Una coproduzione E Production / Menoventi, OperaEstate Festival Veneto, Ravenna Festival.
Al Teatro Dego Fabbri di Forlì il 2 ottobre
ANTEPRIMA SEMMELWEIS
Una parabola essenziale e paradigmatica quella che Céline descrive nel suo omonimo romanzo da cui il gruppo Città di Ebla trae questa sua creazione scenica presentata in anteprima. La parabola di un visionario cui la società e la storia devono riconoscenza ma cui, forse proprio per questo suo essersi posto oltre o a lato, riservano un destino sfortunato e tragico. Semmelweis è il medico viennese che ha scoperto e debellato le infezioni puerperali salvando migliaia di vite e anche, solitario e incompreso, il progresso della scienza medica, ma poi, emarginato e isolato, ha concluso tragicamente e dolorosamente la sua vita in manicomio. In uno spazio scenico essenziale lo spettacolo trasfigura da narrazione a drammaturgia, seguendo il filo di una vita che si è dimostrata capace di vedere dove gli altri non vedevano. Il buio della mente di molti illuminato dalla luce di pochi innovatori, forse per questo infelici. Una parabola molto moderna dunque in questi tempi. Uno spettacolo assai suggestivo e messo in scena con coerenza, recitato con abilità.
Creazione scenica liberamente ispirata a Il dottor Semmelweis di L.F. Céline. Con Marco Foschi, note di regia Claudio Angelini e Marco Foschi. Scene Claudio Angelini con la partecipazione di Daniele Romualdi e Emanuele Tontini. Traduzione Massimiliano Morini, elaborazione sul testo Claudio Angelini e Marco Foschi. Suoni Cristiano De Fabriitis, supervisione musicale Davide Fabbri, direzione tecnica e luci Luca Giovagnoli, fonica Giacomo Calli, costumi Liana Gervasi. Il disegno è realizzato da Barbara Longiardi e Giovanni Pizzigati. Una produzione Città di Ebla
in coproduzione con Teatro Akropolis.
All'EXATR di Forlì il 2 ottobre.
All'interno del festival varie occasioni di incontro e discussione, anche per la presentazione di nuovi libri, hanno arricchito l'ospitalità. Una consuetudine che va affermandosi e che segnala la voglia di tornare a confrontarsi tra artisti, studiosi, critici e operatori del teatro italiano.