Michela Lucenti per l'atteso ritorno alle scene, suo e della compagnia, ha creato e con pazienza costruito uno spettacolo diverso, nel senso migliore del termine, sia dal punto di vista narrativo che da quello linguisico, uno spettacolo insieme inattuale, in quanto oltre ogni corrente banalità, e attualissimo perché guarda la nostra vita oggi attraverso la lente dell'arte, capace di restituire con il piacere dello sguardo l'intensità di una rinnovata comprensione e condivisione. Diverso dicevo ed eterodosso, e anche mai semplicisticamente alternativo ma piuttosto intensamente oppositivo rispetto alle troppe derive della modernità, a partire dall'epos, dal racconto che si incammina dentro la sostanza dei rapporti che ci legano, quelli più irriducibili ma anche quelli più spesso messi tra parentesi, i rapporti di classe, marxianamente intesi, dispiegati anche nelle gerarchie di una fabbrica qualunque, gerarchie che sono economiche per diventare sociali e poi culturali, ed essere così esteticamente intercettate.
Dentro queste gerarchie il senso di tante vite ordinarie eppure singolari, segnali deboli che si fanno potenti come un grido nella alienazione e nella sofferenza.
E poi diverso nel linguaggio e nella sintassi così da costruire uno spettacolo che strutturato come un melodramma, ovvero un musical di strada alla West Side Story, accoglie in sé e amalgama con naturalezza danza e drammaturgia, canto e sonorità, insieme impegnate a costruire un percorso che vuole essere di consapevolezza.
Un contrasto esteticamente assai proficuo che naviga tra i madrigali di Monteverdi e musiche trasfigurate che ricordano discoteche e con esse il panorama sonoro delle nostre città. Così danza e drammaturgia, ben scritta e ben recitata, si alternano, mentre in scena le diverse generazioni si succedono, suggestione questa che non può che rimandare agli insegnamenti di Pina Bausch.
Frizioni e armonie ben gestite dalla coreografia di Michela Lucenti che come un filo rosso percorre l'intero spettacolo, mai prevaricando ma dando un senso ancora più intimo alle nostre sensazioni e percezioni.
Dunque le vite dentro e fuori una fabbrica, dentro e fuori il lavoro, dal capitalista padrone ai suoi operai, dal precario costretto a rinunciare alla sua identità al migrante sospeso in una terra di nessuno tra identità perdute e identità in continuo mutamento. Uno spettacolo capace di rintracciare però i colori dei sentimenti che ci fanno sopravvivere anche soffrendo, quei messaggi che la nostra interiorità continua a lanciare anche attraverso l'arte, segnali di aiuto forse, che si fanno sempre più flebili e che poche orecchie sensibili sono in grado di ascoltare.
Uno spettacolo di qualità, ben organizzato in scena e ben interpretato sia nella danza (Balletto Civile si dimostra ancora una volta una compagnia di grande qualità) che nel canto che quasi si manifesta spontaneo da una orchestrazione efficacissima, sia nella recitazione che recupera la parola quasi come un relitto abbandonato nel mare della musica.
“Zefiro torna e il bel tempo rimena” trasla la musica del barocco Monteverdi su parole di Ottavio Rinucci, nell'interpretazione dell'orchestra Cremona Antiqua, per piegare poi nel pianto dell'abbandono che apre con efficacia lo spettacolo. Se il barocco ha disegnato la sua bellezza sopra i segni della morte in un secolo sanguinoso, così “Figli di un dio ubriaco”, titolo con assonanze indubbiamente dionisiache, consente lo specchiarsi nell'arte dei dolori di un tempo, il nostro, altrettanto difficile e contrastato.
Balletto Civile/Orchestra Cremona Antiqua: Figli di un Dio ubriaco.
Incursioni fisiche su madrigali di Claudio Monteverdi. Ideazione e coreografia Michela Lucenti, direzione musicale Antonio Greco, drammaturgia Maurizio Camilli, Emanuela Serra, musiche di Claudio Monteverdi, Barbara Strozzi, Salomone Rossi, Isabella Leonarda, Alessandro Piccinini
Spazio sonoro: Guido Affini. Disegno luci: Stefano Mazzanti. Costumi: Chiara Defant Assistente di produzione: Ambra Chiarello. Danzato e creato con: Maurizio Camilli, Loris De Luna, Michela Lucenti, Maurizio Lucenti, Alessandro Pallecchi, Matteo Principi, Paolo Rosini, Emanuela Serra, Giulia Spattini, Elisa Spina, Demian Troiano e per la prima volta in scena la piccola Era Affini alla quale va indirizzato un plauso particolare.
Prima dello spettacolo, per le microinstallazioni curate dalla stessa Michela Lucenti, nello spazio del foyer della sala Aldo Trionfo, una breve performance ispirata a Lolita di Vladimir Nabokov ci ha accompagnato per qualche minuto. LO è una suggestione sul corpo e sul desiderio che i due performer Attilio Caffarena e Elena Balestracci portano avanti con delicatezza ed efficacia.