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E' iniziato, e impegnerà il Teatro Akropolis di Genova, fino al prossimo 8 maggio, il festival “Testimonianze, ricerca, azioni”, prova impegnativa che tenta di animare nuovamente la scena teatrale della città con spettacoli innovativi e di grande respiro anche internazionale. Di tanto la nostra rivista ha reso notizia con una apposita scheda cui rimando. Ieri, primo aprile, è andato in scena, purtroppo senza repliche, questo spettacolo prodotto da Balletto Civile e dalla Fondazione Teatro Due di Parma, in collaborazione con Pier Francesco Pisani. Straordinaria, e il termine non è esagerato, traslitterazione coreutica che amalgama nella dinamica cinetica dei corpi danzanti e nell'impasto di sonorità affascinanti il testo drammaturgico di Steven Berkoff, nella traduzione di Adele D'arcangelo, testo a sua volta di una intensa bellezza poetica che estrapola l'ambigua, perturbante e anche violenta relazione tra Ofelia e Amleto, incorporata dal Bardo, con intento quasi di disinnesco, nel più ampio contesto della narrazione della vicenda del principe di Danimarca. Il merito di tale, intensamente coerente, performance teatrale va innanzitutto attribuito ai due interpreti, Michela Lucenti, che ha curato anche l'ideazione e la messa in scena, e Maurizio Camilli, che ha da parte sua curato la drammaturgia sonora. Il disegno delle luci è di Pasquale Mari, lo spazio scenico, spoglio come una scena elisabettiana ma insieme capace di sostenere le dinamiche e le relazioni spaziali man mano attivate dai movimenti coreografici, è di Albero Favretto, mentre la drammaturgia è, come dire, 'accompagnata' dalla voce registrata di Elisabetta Pozzi. Se Steven Berkoff con questo lavoro continua la sua indagine sui testi shakespeariani, già, ricordiamo, si era cimentato con Shakespear's Villains, testi che all'interno della complessa struttura rinascimentale affastellano infinite suggestioni e corrispondenze, i due coreografi/drammaturghi colgono all'interno di quelle suggestioni e di quelle corrispondenze, un elemento talora eluso, quello dell'erotismo, andando oltre una sua superficiale trascrizione tardo-romantica ovvero melodrammatica ma esplicitando in scena gli elementi più profondamente psicologici e perturbanti, non solo della relazione tra Amleto e Ofelia, ma anche di quella tra il maschile ed un femminile sempre difficilmente interpretato e fatto carico di inconscie interferenze. La Lucenti e Camilli portano infatti oltre il confine della consapevolezza il carico di difficoltà e volenza iscritto nella relazione tra Ofelia, vero centro della dinamica scenica, e Amleto, smascherando in scena, nella dinamica dei loro corpi capaci di reciprocamente avvicinarsi solo in una sorta di combattimento, i tentativi di sublimazione che il testo letterario, sorta di trascrizione in relazione epistolare della narrazione shakespeariana, tenta di organizzare. I rumori violenti, il mescolarsi dei movimenti coregrafici più raffinati con scarti e slittamenti cinetici quasi infantili, sembrano appunto indicare lo sforzo di disinnescare una attrazione insopprimibile ed insieme insostenibile, in cui è iscritto sin dall'inizio l'inevitabile esito tragico, unico forse capace, come nel noto quadro del preraffaelita John Everett Millais, di traslare e cambiare la sofferenza in quiete silenziosa. La drammaturgia diventa così, a mio parere, metafora anti-romantica di un rapporto molto attuale con il femminile in cui la relazione tra amore e morte è piegata ad una dinamica di annientamento che, anche nella trascrizione della violenza talora agita in scena ma sempre trasfigurata, diventa alla fine reciproco. Così suggestioni estetiche diventano, nel farsi della performance, corrispondenze psicologiche, affondando come lame nel nostro stesso inconscio, e diventano anche elementi di inattesa condivisione tra scena e platea. Vi è infatti una carnalità, ai limiti dell'osceno, iscritta e celata nella relazione erotica tra Amleto e Ofelia ed una evidente difficoltà ad elaborarla, in quel contesto, in maniera positiva che la sintassi drammaturgica e coreografica squaderna davanti ai nostri occhi e che sostanzialmente trascrive le figurazioni retoriche, palesi peraltro nella loro voluta ambiguità, del testo della tragedia, come ad esempio in questo breve dialogo che dallo stesso testo (Atto terzo) riprendo:

OFELIA: siete pungente, mio signore!
AMLETO: Ti costrebbe un bel gemito smussarmi la punta

Spettacolo dunque intenso, di una modalità che troppo spesso manca alla scena genovese, e che, in un certo senso amplia le stesse potenzialità e dimensioni del cosiddetto teatro danza, aprendolo ad articolazioni drammaturgiche più mature, ed interpreti molto bravi non solo nella prestazione coreografica ma anche in quella attoriale. Teatro pieno che ha risposto con calore e quasi gratitudine alle forti sollecitazioni ricevute dalla drammaturgia, liberandole in un lungo ed intenso applauso.