Ci sono spettacoli che si spiegano da soli, si spiegano con la sola forza dinamica e iconica di ciò che accade e/o si manifesta sulla scena. Si spiegano da soli e davvero non necessitano di didascalie che ne illustrino o ne delimitino il significato. In questo caso parliamo di uno spettacolo straordinario che s’è visto a Catania, sabato 23 ottobre, nel contesto della Stagione 21/22 di Scenario Pubblico intitolata “Pensare”: si tratta della coreografia “La morte e la fanciulla” firmata nel 2017 da Michele Abbondanza e Antonella Bertoni, con Ludovica Messina, Valentina Del Mas e Claudia Rossi Valli. Le luci sono curate da Andrea Gentili, il video che dialoga ce interagisce on la danza è di Jump Cut. La musica, naturalmente, è l’omonimo e bellissimo quartetto per archi in re minore di Franz Schubert. Il concept – visibile - di questo lavoro è la percezione della vita mentre si apre alle possibilità dell’essere e al confronto serrato con la morte/non essere che innerva ciascuna di quelle possibilità rendendola unica,
“impermanente”, passeggera, fragile, mutante. E, se fosse già soltanto questo, sarebbe certo già tantissimo: si tratta infatti di un lavoro la cui estrema complessità concettuale - e filosofica - non sfocia nella sterile sofisticatezza. Il tutto è però tenuto saldamente a terra e resta fecondo grazie alla sola energia della danza che si sprigiona con nettezza e pulizia del gesto dai corpi nudi delle danzatrici e grazie alla solidità della costruzione dello spettacolo. La costruzione spaziale è divisa tra la scena, luogo della danza e del bagliore puntuale dell’impermanenza, e il retroscena, luogo della presenza del “non essere” come immagine filmata, riflessione critica implicita nel montaggio, come morte. C’è però un altro a spetto che non va sottovalutato perché costituisce probabilmente la vera base da cui promana il fascino magnetico di questa corografia, ovvero il confrontarsi (non semplicemente utilizzare) di artisti contemporanei con un’opera d’arte di due secoli fa, ovvero col Quartetto per archi in re minore (D810) di Schubert e con la sua drammaturgia implicita (del 1824, ma nel secondo movimento contiene il tema del Lied “la morte e la fanciulla” scritto nel 1817 e a sua volta ricavato da un tema rinascimentale). Guardare lì dentro, ricostruire interiormente la drammaturgia scarnificata e portata alla sua essenza tragica, ascoltare con quell’intelligenza amorosa che non si spaventa della morte e trovare lì, esattamente lì, una luce che può illuminare i nostri pensieri. Renderci conto, mantenendo vivo e acceso il desiderio d’infinito e d’immortale, che la nostra vitalissima “impermanenza” brucia dentro la storia e che dunque anche la storia si confronta con la morte e con l’unica possibilità di “permanenza” che vive negli altri e nell’amore solidale degli altri. Sembra davvero di sperimentare concretamente quella definizione di contemporaneo elaborata da Agamben nel 2007: «...E per questo essere contemporanei è, innanzitutto, una questione di coraggio: perché significa essere capaci non solo di tenere fisso lo sguardo nel buio dell’epoca, ma anche di percepire in quel buio una luce che, diretta verso di noi, si allontana infinitamente da noi. Cioè ancora: essere puntuali a un appuntamento che si può solo mancare» e ancora: «...l’appuntamento che è in questione nella contemporaneità non ha luogo semplicemente nel tempo cronologico: è, nel tempo cronologico, qualcosa che urge dentro di esso e lo trasforma. E questa urgenza è l’intempestività, l’anacronismo che ci permette di afferrare il nostro tempo nella forma di un “troppo presto” che è, anche, un “troppo tardi”, di un “già” che è, anche, un “non ancora”. E, insieme, di riconoscere nella tenebra del presente la luce che, senza mai poterci raggiungere, è perennemente in viaggio verso di noi». Abbondanza e Bertoni non temono di confrontarsi con Schubert e sfidano, nell’oggi, la densità concettuale de “La morte e la fanciulla” sapendo che è nell’incontro cercato, voluto, agito che quella musica (la musica) non cessa di comunicare, agisce nei corpi danzanti e svela la sua sorprendente potenza umanizzante e sapendo che questa potenza umanizzante è moltiplicata quando è affrontata nei corpi della scena contemporanea.
La Morte e la fanciulla.
Regia e coreografia di Michele Abbondanza e Antonella Bertoni. Con Ludovica Messina, Valentina Dal Mas, Claudia Rossi Valli. Musiche di F.Schubert. Luci di Andrea Gentili, video di Jump Cut. Produzione di Compagnia Abbondanza Bertoni, con il sostegno di MIC Ministero della Cultura, Provincia Autonoma di Trento – Servizio Attività Culturali, Comune di Rovereto – Assessorato alla Cultura, Fondazione Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto. Vincitore Premio Danza&Danza 2017.
Foto Simone Cargnoni