È la quinta edizione di questo concorso biennale che si è ritagliato un posto singolare nel contesto delle iniziative, analoghe o similari, che un po' si sovrappongono nel panorama del teatro italiano, avendo assunto oggi, anche a seguito delle note vicende legate alla pandemia, una valenza strategica nel quadro degli stimoli per il rilancio dell'esserci teatrale. È infatti un concorso promosso direttamente da un Ente Locale, il Comune di Genova, che destina un concreto contributo per promuovere le produzioni delle compagnie under 35, quelle in sostanza che, poco sostenute in genere, sono quasi sempre ad una svolta della loro vita artistica, tra il salto definitivo ovvero la rinuncia. Questo è un fattore importante cui è necessario corrisponda un maggiore coinvolgimento della comunità che, forse anche a seguito di questo biennio un po' particolare, si mostra ancora disattenta se non intimorita. Una più profonda attività di promozione può costituire infatti una garanzia di maggiore
qualità e di più intensa attrattività che vada a premiare lo sforzo rimarchevole di promotori e organizzatori. A questo riguardo è stata interessante, quest'anno, la collaborazione sinergica tra Intransito ed un'altra iniziativa del Comune di Genova rivolta alla creatività giovanile, il progetto “Start and go” con riferimento specifico alle professionalità dello spettacolo dal vivo nel contesto del Progetto Europeo “CreArt”. Ne è nato un seminario su progettazione, budgeting e fundraising che ha allargato il panorama dell'evento anche a quelle attività non direttamente creative ma che la creatività rendono, per così dire, possibile.
L'intera manifestazione è stata, come di consueto, affidata dal Comune di Genova a “Teatro Akropolis”, “La Chascona” e “Officine Papage”, realtà creative e produttive che hanno man mano conseguito, insieme al radicamento territoriale, una capacità non comune di relazionarsi con i più diversi ambiti nazionali, così da poter dare a questa iniziativa un respiro e un richiamo più ampio, testimoniato ancora una volta dal numero delle adesioni pervenute, oltre 140.
La fase finale, dal 9 all'11 dicembre, ha visto la messa in scena di cinque delle opere tra quelle selezionate (la sesta compagnia ha rinunciato) e si è svolta al Teatro Verdi di Genova Sestri Ponente, essendo i tradizionali spazi di Teatro Akropolis in corso di ristrutturazione.
La sera dell'11 si è svolta anche la premizione del progetto vincente da parte della giuria del Premio, composta dalla Presidente Laura Bevione (giornalista e critico teatrale), da Nadia Macis (tra i responsabili della prorammazione artistica di “Fondazione Piemonte dal vivo”), Andrea Porcheddu (critico teatrale e dramaturg del Teatro Nazionale di Genova), Boris Vecchio (Direttore Artistico di “Sarabanda/Circumnavigando Festival”) e Marisa Villa (coordinatrice dell'attività di programmazione di “ERT/Teatro Nazionale”).
La scelta è caduta su “E CAMMARERE” del Gruppo “RI.TE.NA. TEATRO di Casalnuovo di Napoli, mentre una menzione è stata attribuita, per il singolare modo di affrontare il tema dell'arte, a “ GIANLUCA” del milanese Daniele Turconi.
Due drammaturgie molto diverse ma che possono essere unite da quel particolare modo di intendere l'arte ed il teatro proprio di un Jean Genet che aleggiava su entrambe, espressione in fondo di una crisi che si rifrange dai tempi del suo operare ai nostri, così diversi ma in fondo così simili, e che è una sorta di riflessione (nel senso anche di uno rispecchiarsi) sui temi della morte e dell'arte.
Scriveva infatti Genet nel suo saggio “Il Funambolo”: <<Parlavo all'artista soltanto, e al poeta. Se anche tu danzassi a un metro dal tappeto, la mia ingiunzione sarebbe la stessa. Si tratta, l'hai capito, della solitudine mortale, di quella regione disperata e fulgida in cui opera l'artista.>>
'E CAMMARERE
Ispirato ovvero liberamente tratto da “Le Serve” di Jean Genet è una drammaturgia di inusuale equilibrio e coerenza, capace di trasfigurare il racconto originale in quello che lo stesso Genet definiva come essenza stessa della sua pièce, l'essere cioè una favola. Linguisticamente suggestiva trasforma il dramma in litania, o piuttosto in filastrocca infantile utilizzando un napoletano, né tradizionale né contemporaneo, ma invece quasi 'archetipico', strutturato come in una giustapposizione/fusione di detti e proverbi popolari che costruiscono il senso profondo della narrazione senza reciderne alcuna radice. Il racconto si trasforma così in mito che si alimenta quasi dell'anima del mondo, di quell'anima che come un fiume prosciugato si è arenata in un basso napoletano, diventando palude ricca di vita inaspettata. Il tema del rapporto servo/padrone si trasforma così in una dolorosa e tragica indagine, da parte di queste due sorelle, sorta di naufraghe sulla riva della vita, sulla nostra condizione umana, perduta tra contraddittorie pulsioni e priva ormai di vera memoria. A proposito di linguaggio, lo stesso Genet scrisse a suo tempo proprio a proposito di questa suo dramma: <<Quando questa pièce è andata in scena, un critico teatrale ha osservato che nella realtà le serve non parlano come quelle della mia pièce: che ne sapete? Sostengo il contrario, perché se fossi una serva parlerei come loro>>. Il transito scenico è poi sostenuto da una recitazione partecipata e intensa, capace di molte sfumature e ribaltamenti in cui confluiscono coerentemente, e trovano una sorta di nuova illuminazione, i temi profondi della esposizione drammaturgica. L'effetto di insieme beneficia poi di scenografie e costumi di buon livello nonostante i mezzi limitati. Un buon lavoro che fa parte di una trilogia sulla “femminilità irrisolta” che ci auguriamo possa trovare, nella sua interezza, il giusto spazio nelle prossime programmazioni.
Della Compagnia “RI.TE.NA”. Regia e drammaturgia di Fabio di Gesto. Con Francesca Morgante e Maria Claudia Pesapane. Costumi e trucco Rosario Martone. Scenotecnica Gennaro Olivieri. Luci Giuseppina Farella. Montaggio audio Enrico Capano. Foto di scena Flavia Tartaglia.
Venerdì 10 dicembre.
GIANLUCA
È, volendo esserlo, una un po' paradossale riflessione sul valore dell'arte in rapporto alla nostra identità, cioè sulla capacità dell'arte, e dell'arte teatrale in particolare, di individuare e preservare la nostra identità, o anche di costruirla, quella stessa identità, salvaguardandone la sincerità che il rapporto con il mondo, i suoi compromessi e le sue maschere, spesso coarta anche con la nostra più o meno consapevole complicità. Siamo diversi? Siamo più noi stessi quando siamo in scena e quando ci raccontiamo o siamo raccontati in scena? La domanda non ha risposta, o meglio non ha una risposta ragionevole (più che razionale), ma è una suggestione e in fondo, ri-citando Genet, un azzardo, una pazzia, un gesto per cui bisogna correre lo stesso rischio del Funambolo. Ma è anche una domanda che ha percorso e fecondato gran parte del teatro del novecento, da Antonin Artaud a Jerzi Grotowski per limitarci a due profondi innovatori. È dunque una drammaturgia fondata su premesse e su intenzioni stimolanti o addirittura necessarie, a partire dalla finta tesi di laurea di Arianna Gianchetta, ma che un po' si perde avendo paura quasi della sua stessa 'sospensione' e cercando di darsi comunque una conclusione, ma appoggiandosi troppo a luoghi comuni e tick teatrali, generazionali o meno, che fanno un po' scendere la tensione drammatica. Un lavoro tuttavia meritevole della menzione attribuita dalla giuria.
Regia e Drammaturgia di Daniele Turconi. Con Gianluca Tosi e Daniele Turconi. Video/Audio Roberto Cicogna e Giovanni Doneda. Aiuto drammaturgia Alice Provenghi. Disegno luci Daniele Passeri. Tecnico Fabio Clemente.
Con il supporto di Frigo Produzioni, Gli Scarti La Spezia, Officine Papage, Residenza Qui e Ora, Strabismi Festival.
Sabato 11 dicembre.
FOMA FONIC NELLO SPAZIO
Un ritorno un po' distopico al teatro canzone di qualche anno fa con il suo bagaglio di gags e di atmosfere surreali fatte apposta per richiamare la nostra attenzione verso qualcosa che forse in scena non c'è ma che la scena e la musica portano con sé come un filo che man mano si sbroglia e che ci mostra dall'interno. Un interno/esterno che condividiamo insieme al sogno che gli altri o altri ci ascoltino, siano il pubblico in sala o un gruppo di improbabili alieni, che in fondo siamo sempre noi seduti sulle nostre poltrone nel buio. Un viaggio virtuale, di un cantautore altrettanto improbabile come il suo nome, giocato sull'ironia e sul gioco, quasi un richiamo ad una infanzia del mondo che si è perduta nello spazio dentro di noi come nello Spazio fuori di noi, che tenta di rappresentarla. Il tutto in un mondo reale, nelle forme di una discografica senza scrupoli, alle prese con i limiti e le maschere di un successo promesso e sempre più lontano, come la felicità di vivere. Un teatro peraltro che rimane sempre un po' a livello di intenzione senza mai veramente decollare, piacevole ma poco graffiante, sull'onda oracchiabile di una musica vintage.
Compagnia FOMA FOMIC. Di Giacomo Fava e Foma Fomic. Con Foma Fomic e Rubynia Reubens. Regia di Giacomo Fava. Musiche di Foma Fomic e Marcello Pardieri. Trucco di Lorenzo Forte. Fonico e ripresa video Filippo Gherarducci.
Venerdì 9 dicembre.
STAVOLTA O MAI PIÙ
Monologo generazionale, un teatro di narrazione che nel suo sviluppo riesce a trovare un credibile orizzonte drammaturgico grazie al sovrapporsi delle identità che conferisce una coerenza narrativa all'insieme scenico. Un giovane proletario sogna ciò che non può permettersi e si imbatte nella scorciatoia del furto e dello spaccio con esiti tragicomici ma dolorosi. Un lavoro che riporta lo sguardo sull'emarginazione e per questo rimarchevole, anche se rimane un po' sottotraccia la contrapposizione sociale in favore di un approccio più esistenziale e privato, in questo forse meno incisivo. Rimane il merito, che è un po' la cifra di questa fase finale, di riportare la nostra attenzione sulle questioni sociali, su quel vulnus che oggi emargina molti giovani mentre televisione e pubblicità esaltano modelli che, comunque inaccettabili, diventano anche inacessibili, per la mancanza ovvero per la povertà e la precarietà del lavoro di oggi. Resta dunque la scorciatoia in cui qualcuno si incammina anche suo malgrado. In un contesto scenografico povero ma intelligente, buona la prova del protagonista nel suo calarsi in diverse identità.
Compagnia TEDACA'. Tratto da “Rumore di cicale”, raccolta di racconti di Emanuele Gaetano Forte (Edizioni il Foglio). Ideazione Elio D'Alessandro, Edoardo Palma, Emanuele Gaetano Forte. Regia Simone Schinocca e Edoardo Palma. Con Elio D'alessandro. Scenografa Diana Ciufo.
Venerdì 9 dicembre.
EQUITALIA
Un lavoro più tradizionale, per struttura, sintassi e impianto drammaturgico, un po' in bilico tra la commedia di costume, con tratti di indagine esistenziale, e la satira superficialmente anti-sistema. Il racconto dei due anziani vessati da Equitalia mescola infatti la storia intima di un legame che col tempo si slabbra e la difficoltà a rispondere alle spinte di una società che sembra sempre più nemica. Terroristi quasi per necessità, dopo essere stati evasori per lo stesso motivo, tentano di affermare il proprio diritto all'esistenza e all'ascolto con un attentato, fallendo anche in questo. Tonalità malinconiche e un po' grottesche, a volte sopra le righe, che accompagnano un racconto che sa comunque andare talvolta oltre la banalità. Anche qui peraltro il tema della emarginazione è evidente, in una dimensione ultra-generazionale e nella forma ancora più subdola di una società che appunto non ascolta chi cade in difficoltà, ma procede spedita e inflessibile nell'eseguire le sue sentenze economiche. La tessitura linguistica è buona e nel complesso anche la recitazione dei due protagonisti.
Compagnia Sunny Side, Roma. Testo e regia Massimiliano Aceti. Con Chiara Mancuso e Massimiliano Aceti. Venerdì 10 dicembre.
Appuntamento tra due anni.
Foto di Oriana Spadaro e Emanuele Basile