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È spuntato un fiore inaspettato nella pianta del teatro siciliano contemporaneo. È vero, non si tratta di una metafora leziosa. Raccontiamo di “L’ultima di Carnali” (l’ultima sera di Carnevale), l’interessante spettacolo scritto e diretto dal regista e attore vittoriese Peppe Macauda. Un teatrante di talento cresciuto molto e con un proprio riconoscibile linguaggio nel contesto vivo e artisticamente vitale della compagnia “Santa Briganti”. In questo allestimento Macauda ha voluto mettere in dialogo il suo linguaggio di regista con la lingua sapida, popolare e insieme assai colta dell’ambiente teatrale Palermitano e del suo fertile immaginario. Un dialogo rispettoso, profondo e dall’esito felice (seppur non molto originale) in questo lavoro già a partire dalla scelta delle intrepreti Serena Barone e Oriana Martucci. Entrambe solide attrici, partite dalla scuola di Michele Perriera e con esperienze e professione nel migliore teatro della città (e nel cinema che da esso sta sviluppandosi). Mille richiami e citazioni vengono in mente in questo senso, tutte appropriate, ma basti dire che aleggia in questo allestimento la presenza della poetica e della lingua teatrale di Franco Scaldati. In un quartiere popolare

di una qualunque città del sud c’è un basso buio, sporchissimo, puzzolente, zeppo di rifiuti e vecchie cianfrusaglie accatastate. Ci vive Maria (una Serena Barone, ispirata e padrona di ogni pensiero e smarrimento di questo personaggio) da sola, poverissima e scivolata ormai ben oltre ogni possibile condizione di equilibrio psichico. Ci vive biasciando le sue parole, rivoltandole nel suo dialetto antico, pastoso e ritratto, ripercorrendo le sue storie e le sue paure, i ricordi, gli incubi, le ferite che la tormentano. Ma non è veramente sola Maria: convive, rispettandoli e nutrendoli, con gli insetti che affollano il tugurio e col fantasma della sua “nicuzza”, di quella “Ninetta” con la quale parla sempre, che coccola ancora, di cui conosce abitudini e antichi desideri, con la quale gioca regolarmente a carte ogni sera e della quale conserva gelosamente efficiente un’arrugginita graziella. Parla ancora con quella sua bambina violata da Zi’ Pi’: un maschio di casa, un porco infame, silenzioso e violento, che prima ne abusa e la spezza, poi la butta. Ma niente è specificato, niente è chiaro e comprensibile di quei ricordi, di quella sua ossessione.
Una sera, l’ultima di Carnevale, accade qualcosa: piomba lì dentro una giovanissima teppista (jeans, felpa, canotta) che aggredisce Maria e mette a soqquadro quel tugurio (Oriana Martucci, anche lei convincente nell’incarnare questo personaggio passando da una materialità violenta e fisica all’astrazione di un’immagine psichica o di un incubo). Un rozzo scherzo di Carnevale ai danni di una vecchia matta? O la malevola curiosità del quartiere di ficcare il naso in quella caverna e nel mistero di una vita perduta, miserabile e nascosta? Non si capisce. Però è chiaro che nessun incontro, nessun incontro autentico, può darsi e poi restare senza conseguenze: le due donne si scontrano fisicamente e mentalmente, ma subito dopo, senza soluzione di continuità, finalmente s’incontrano, si vedono davvero, si toccano, si abbracciano, si mettono a nudo e si scoprono. Ma chi è quella ragazza? Quale relazione ha con Maria? È forse la figlia violata che è tornata per capire, per vendicarsi di qualcosa o forse, semplicemente, per ritrovare una relazione con la madre? Oppure è un fantasma che vuole spingerla (senza riuscirci) a uscire da quel tugurio? Uscire verso la vita e verso il superamento di quel trauma feroce. Laddove Maria non si muove e continua a rifiutarsi di uscire perché fuori, lì fuori, c’è il peccato. Non è dato saperlo, nello spettacolo vengono disseminati moltissimi indizi, ma nessuno diventa prova, nessun indizio ha abbastanza forza per permettere al pubblico di ricostruire la natura di quella relazione e il senso di quell’incontro. Il mistero resta intatto, religiosamente rispettato: si tratta del mistero umanissimo e insondabile di due anime violate e nella sua accettazione c’è la chiave ultima di questo spettacolo colto, delicato e potente. Visto il 22 gennaio nella scena di Spazio Franco, ai Cantieri Culturali della Zisa a Palermo, nel contesto della rassegna “Scena Nostra”.

L’Ultima di Carnali
Testo e regia Peppe Macauda, con serena Barone e Oriana Martucci. Disegno luci di Gabriele Gugliara, scenografia di Laboratorio Fuori Tema. Produzione Santa Briganti, con il sostegno di Spazio Franco.

Foto Vito Raia.