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Ritorniamo al Teatro Sannazaro di Napoli per rivedere in scena uno degli attori italiani, e napoletani, più acclamati negli ultimi anni: Lino Musella. Per chi non lo conoscesse questa potrebbe essere l’occasione per invitare gli spettatori a seguirlo sui palcoscenici italiani, ma anche al cinema, dal momento che appare sempre più spesso sugli schermi italiani (ricordiamo la sua breve ma importante interpretazione ne È stata La mano di Dio di Paolo Sorrentino o all’interno della serie Gomorra, alcuni tra i lavori più recenti). Lino Musella è fondamentalmente e soprattutto un ottimo attore teatrale: schivo, introverso, dalla voce calda, intenso interprete che rivela sul palcoscenico l’attenzione rivolta allo studio dei personaggi interpretati e soprattutto ai testi recitati. Musella è, in effetti, un attore soprattutto di parola, più che di azione, soppesa ogni singola espressione, modula ogni variazione di sonorità, evidenzia passaggi, gioca con le parole, sa come “mangiare e digerire” anche i testi di un

certo spessore. Questo preambolo ci serve per capire le finalità dello spettacolo in scena a Napoli dal 18 al 20 marzo: la platea piena, nonostante si svolga l’ultima replica, moltissimi attori presenti, moltissimi spettatori giovani. La fama di Musella, teatrale e cinematografica, attira anche il parterre teatrale napoletano che, cosa gradita, è presente spesso alla visione degli spettacoli di altri attori, soprattutto quando si tratta di amici.
Non dimentichiamo, però, il nome di Jan Fabre, artista, coreografo, regista teatrale e scenografo belga. Come non ricordare lo spettacolo evento, in scena a Roma nel 2015, Mount Olympus,  che si svolse attraverso 24 ore di performance, durante la quale gli spettatori potevano integrare la loro vita quotidiana con lo spettacolo stesso, potevano riposare, uscire dal teatro e rientrare, mangiare, assistendo a un’operazione complessa ed unica.
Lo spettacolo condotto in scena da Lino Musella è stato scritto, diretto e costruito dallo stesso Jan Fabre: questo significa che l’attore napoletano non solo ha interpretato lo stesso artista belga, non solo ha letto le pagine del diario che costituiscono la struttura drammaturgica dell’intero spettacolo e della vita stessa dell’artista, ma è stato anche guidato dalla regia di Fabre.
Il giornale notturno è una sorta di diario della vita, attraverso cui Fabre ha annotato centinaia di riflessioni notturne che sembrano costituire una vera e propria monografia sull’artista e sulla sua sperimentazione. Lo spettacolo sembra raccontare di un artista che non c’è più, ma in realtà è vivo, ha scritto e diretto le sue stesse parole e si serve di Musella per raccontarsi in scena, non solo agli spettatori, ma soprattutto a se stesso.
Il racconto è costruito attraverso una temporalità alternata che viaggia tra gli anni Settanta, Ottanta e Novanta, ma non si estende attraverso un percorso cronologico lineare, bensì attraverso un viaggio che tocca vari momenti dei tre decenni citati, descrivendo microcosmi ed esperienze particolari della vita artistica e privata. Anche la collocazione geografica del racconto alterna alcune città, tenendo conto di un punto di riferimento ben preciso, ossia la città di origine Anversa, spostandosi poi a New York, Parigi e Bruges, “saltellando” da un luogo all’altro per evidenziare alcuni nuclei fondanti della sua arte.
Parliamo, dunque, di riflessioni notturne che vengono fissate su carta dopo aver vissuto molteplici esperienze. La città di origine, Anversa, sembra essere caratterizzata da un passato familiare non limpido, in cui la figura della madre è descritta negativamente, sebbene il racconto sia permeato continuamente dall’ironia, elemento, quest’ultimo, che abbonda nei momenti in cui il dolore, la tragedia e l’estrosità psicologica raggiungono picchi altissimi.
La visione del mondo e della propria vita appare attraverso gli occhi dell’arte, meccanismo che si rivela chiave di accesso che ha permesso a questo artista di superare particolari situazioni personali, ma ha anche aperto dei canali di riflessione sul mondo e sull’umanità che appaiono profondi e irriverenti.
Le esperienze personali, non solo quelle familiari, ma anche quelle legate all’amicizia, all’amore e alla particolare sessualità e sensualità, appaiono come micce che producono esplosioni d’arte inaspettate e contrastanti. Si ritorna sulla famiglia quando Musella racconta, incarnando Fabre, la vicenda del fratello paralitico e poi deceduto, ricollegandosi ad una delle opere più importante e più conosciute, L’uomo che misura le nuvole, scultura inaugurata proprio a Napoli, nel 2017. Il rapporto tra l’artista e questa città è fortemente vivo e la canzone italiana, anche napoletana, viene inserita all’interno dello spettacolo come momento di intersezione tra le parole, il racconto e l’azione scenica. Quest’ultima è limitata e contenuta all’interno di un palcoscenico ricoperto di sale bianchissimo, un deserto o una spiaggia, su cui cammina in bilico l’attore, producendo un rumore secco. Conficcate all’interno di questi cumuli emergono quattro pietre, quattro stein, utilizzando la parola tedesca come desinenza dei nomi di studiosi e filosofi noti: quattro pietre, quattro cervelli, quattro oracoli, ricordando il teschio shakespeariano in scena. Un tavolo dal ripiano di vetro è la vera scena su cui Musella appoggia e sfoglia i fogli di diario, appunti datati meticolosamente, poetici a tratti, irrequieti e schizofrenici per lo più, abbozzi di progetti e descrizioni di forme d’arte, analisi di alcune opere, saggi filosofici e riflessioni sul mondo e sulla vita, sull’amore e sulla bellezza, reazioni a critiche negative, rivolte alle sue opere che prevedevano schizzi di sangue o carcasse di animali.
Sul fondo bianco il pubblico osserva a tratti le immagini di Anversa o le ombre proiettate attraverso una telecamera posta sotto il tavolo trasparente: l’immagine che si crea sembra quella di un uomo seduto alla scrivania, sbirciato dall’esterno di una finestra illuminata, di notte.
Musella interpreta non solo le parole e le osservazioni descritte dall’artista belga, Manifesti veri e propri della sua poetica scultorea, scenica ed artistica a tutto tondo, ma incarna anche alcune opere. Fabre sceglie di riprodurre le sue fattezze all’interno di numerose sculture: non si tratta di autoritratti intesi come semplice riproduzione dell’immagine, ma contengono complesse rielaborazioni di temi e di significati, mostrati e contenuti attraverso la fisicità dello stesso artista. Musella, infatti, riesce a trasformarsi in scena, davanti ad uno spettatore inconsapevole che osserva improvvisamente un attore dalla bocca spalancata e dai capelli issati come corna, ricordando, appunto, opere come Devilish Ashtray, scultura che riproduce la testa di Fabre con bocca spalancata e corna, esponendosi e facendosi da specchio allo spettatore. Non a caso numerose sculture che riproducono il viso e il corpo dell’artista belga sono realizzate con materiali luminosi, dorati e riflettenti.
Bisogna sottolineare alcuni aspetti che emergono dopo la visione di questo spettacolo: è necessario che lo spettatore abbia una discreta conoscenza o si fornisca di documentazione appropriata per comprendere certe sfumature e approfondimenti sulla poetica dell’artista in questione. Questa “preparazione” aiuterebbe certamente la visione, sebbene la bravura e l’intensità di Musella riescano a coinvolgere e a condurre in un mondo irrequieto, visionario e geniale anche lo spettatore meno esperto.
Lo spettacolo può essere considerato sicuramente un lavoro raffinato, complesso, un vero e proprio saggio di approfondimento su un artista vivente, regalato al pubblico dallo stesso Fabre, attraverso la bravura di Musella che rende il prodotto scenico una dimostrazione a tutto tondo delle diverse forme d’arte che caratterizzano la poetica dell’autore. Il pubblico, caratterizzato soprattutto da esperti e appassionati, ha premiato con applausi prolungati.

Foto di Valeria Palermo

THE NIGHT WRITER: GIORNALE DI NOTTE
TEATRO SANNAZARO – NAPOLI
18-20 marzo 2022
con
LINO MUSELLA
testo, scene e regia
Jan Fabre
musica
Stef Kamil Carlens
drammaturgia
Miet Martens, Sigrid Bousset
traduzione
Franco Paris
disegno luci
Jan Fabre
direzione tecnica
Marciano Rizzo
fonica
Marcello Abucci
direzione di produzione
Gaia Silvestrini
produzione
Troubleyn/Jan Fabre, Aldo Grompone, FOG Triennale Milano Performing Arts, LuganoInscena, Teatro
Metastasio, TPE – Teatro Piemonte Europa, MARCHE TEATRO, Teatro Stabile del Veneto
Produzione esecutiva Carnezzeria srls